Qualche giorno fa Marco Alfieri (in foto) si è dimesso da direttore de Linkiesta, giornale telematico di approfondimento. Il giornale apparve qualche anno fa nell’asfittico panorama dell’editoria italiana come un mezzo nuovo sia nei contenuti che nelle tecnologie adottate. L’innovazione come baluardo contro il vecchiume della tradizionale editoria italiana. Ottime le premesse e la filosofia di fondo, l’approfondimento e l’inchiesta come mission, sulla scia del grande giornalismo di investigazione statunitense, le dimissioni di Alfieri rischiano seriamente di rappresentare il preambolo dell’ennesima chiusura dell’ennesimo prodotto di informazione.
La realtà è che per ogni giornale cartaceo che chiude, e ne chiudono tanti, ce ne sono almeno due digitali che fanno la stessa fine. Per carità di siti d’informazione sul web ce ne sono tanti, ma sono fatti in modo artigianale, giri e rigiri di agenzie, parole al vento. Manca l’impianto e l’organizzazione di un’informazione ragionata che può essere garantita solo attraverso l’organizzazione di mezzi e risorse. E Linkiesta è ancora – ed auguriamoci che rimanga – un prodotto editoriale nel senso tecnico del termine, con una redazione, e gente, che ci lavora.
Il passaggio al digitale è una necessità per i giornali, questo non vi è dubbio, ma non era, non è e non sarà la ricetta magica, la panacea di tutti i mali come continuamente riportato negli slogan dei supercazzolari soloni che da anni stanno devastando il settore, presi dalla smania di soddisfare la pancia della demagogia che sta governando il Paese. Il risultato è che sicuramente ci sta un ottimo giornalista in giro in più e probabilmente un ottimo sito d’informazione in meno. Quei qualcuno che vogliono i giornali chiusi stappino pure l’ennesima bottoglia.