La ricerca presentata oggi da Agcom, nell’interim report dell’indagine conoscitiva
congiunta sui Big Data, ha confermato una delle ipotesi da sempre presenti nel
dibattito sui big data: in cambio della gratuità dell’accesso a determinati servizi, gli
utenti cedono i propri dati come merce di scambio. “L’indagine dell’Autorità conferma in
modo statisticamente significativo l’esistenza di un prezzo implicito del dato” ha
spiegato il Commissario Antonio Nicita nella sua relazione. Analizzando un campione
di oltre un milione di app – pari all’80% degli applicativi disponibili nello store di Google
– frutto della collaborazione con l’Università Sapienza, “Agcom ha misurato una
relazione inversa tra gratuità delle app e numero di informazioni sensibili cedute da
parte degli utenti”, ha detto Nicita.
Analoga correlazione, secondo il Commissario, è stata misurata dal lato dell’offerta, dal
momento che “quando uno sviluppatore deve decidere il prezzo della app, di fatto
stabilisce quanta parte del suo business dipende dall’accaparramento di dati personali.
Dall’analisi empirica condotta su milioni di applicazioni – ha continuato Nicita – emerge
un rilevante effetto del sistema dei permessi sottostanti al funzionamento di una app,
sia sulle scelte dei consumatori (download), sia sui modelli di business che le imprese
intendono adottare. In particolare, le relazioni che sono emerse evidenziano come il
sistema dei permessi sia lo strumento attraverso il quale vengono scambiati dati tra
imprese e consumatori.
Tuttavia, tale scambio non avviene nell’ambito di una transazione contrattuale certa in
cui, tra l’altro, è fissato il prezzo del prodotto, ma si sostanzia in uno scambio implicito,
all’interno di una compravendita di altri servizi (le app). Ciò pone chiaramente rilevanti
problemi circa l’efficienza del funzionamento dei mercati e di regolazione degli stessi; –
ha concluso il Commissario – sarà interessante comprendere se l’entrata in vigore del
GDPR avrà un impatto sul prezzo implicito dello scambio dei dati”.
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