Non sta bene l’editoria dei quotidiani. La situazione fotografata da Agcom nel 2020 è seria. I numeri restituiscono uno scenario critico che, comunque, risente dell’influsso pesantissimo della pandemia. Se la tv aumenta, i giornali cedono posizioni e la radio – almeno nelle primissime fasi della pandemia, cioé durante i lockdown – hanno perso quasi il 17 per cento degli ascoltatori delle fasce “drive time”. Ciò dovuto, ovviamente a smartworking e impossibilità a uscire. Un gap che però è stato colmato da smartphone e streaming.
Per il 2020, l’autorità ha censito 105 testate quotidiane in Italia. Tutte insieme, valgono 1,1 mld di copie vendute l’anno. Un numero che restituisce il senso di una disfatta. Stabilendo una perdita di quota di mercato pari al 13,4% rispetto al 2019. Per Agcom “la crisi strutturale della stampa si sta rivelando irreversibile e mostra di non aver beneficiato della accresciuta domanda di informazione dovuta alla crisi pandemica”. Secondo l’indagine Agcom, meno di un italiano su cinque ha scelto di informarsi acquistando quotidiani. Con la sospensione dei campionati, c’è stato il tracollo della stampa sportiva.
Non è solo una questione italiana, ormai. Secondo i numeri dell’Autorità Garante per le Comunicazioni, il calo dei quotidiani è diventato un caso europeo. Se solo il 17% degli italiani ha acquistato giornali, in Europa il dato è sicuramente maggiore e si attesta al 26%. Ma ciò non deve rassicurare. Tutt’altro. Perché in poco meno di dieci anni, e cioé dal 2010 al 2018, i quotidiani del Vecchio Continente hanno perduto ben 12 punti percentuali. Prima, infatti, la “quota” di lettori era pari al 38%. Tuttavia, specialmente in Italia, i lettori persi dalla carta sono “recuperati” in quota dal web. Dove, però, è privilegiata l’informazione gratuita rispetto a quella a pagamento.
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