Tempi duri per i provvedimenti sul diritto d’autore. Mentre il trattato ACTA attende il verdetto del Parlamento Europeo, la legge statunitense SOPA (Stop Online Piracy Act) è da tre mesi al vaglio della commissione giustizia del Congresso. La stessa sorte è toccata al PIPA (Protect Ip Act), legge molto similare nei contenuti al SOPA. In cosa differiscono questi tre documenti legislativi e quali sono i punti di raccordo ce li spiega il Prof. Astolfo Di Amato nell’editoriale al numero 3 del 2011 della rivista Diritto ed Economia dei Mezzi di Comunicazione.
Il SOPA, nel nome del diritto d’autore (o meglio, del suo sfruttamento economico), autorizza gli ISP (i fornitori di servizi su Internet) ad adottare misure tecniche per impedire l’accesso al sito accusato di violazione. Ai fornitori di servizi che collaborano per estirpare questi siti dalla rete è concessa l’immunità dalla responsabilità di tipo civile. Si tratta di una forma di giustizia privata, che stride con i valori del Primo Emendamento, che tra le altre cose garantisce la libertà di espressione.
I social networks sono il principale bersaglio del SOPA, dal momento che l’atto rende perseguibili i siti che facilitano la pubblicazione di contenuti che violano il copyright. I siti accusati, essendo costretti a corrispondere le spese legali anche in assenza di violazione, sono alla mercè dei detentori di diritti.
L’atto è stato ideato per proteggere gli interessi delle industrie americane dell’entertainment, ma nuoce allo sviluppo generale dell’economia. Infatti il SOPA rende illegali anche i Virtual Private Networks, reti di telecomunicazioni private che sfruttano reti condivise pubbliche, offrendo alle aziende le stesse possibilità delle linee private ad un costo inferiore. Alla proposta di legge si sono chiaramente opposti i colossi della tecnologia come Google, Facebook e Microsoft.
Il PIPA è, per molti versi, analogo al SOPA. In esso si individuano le stesse misure a danno dei siti a contenuto aperto e la medesima arbitrarietà nei poteri concessi agli ISP. Rispetto al SOPA, Il PIPA si concentra maggiormente sugli aspetti tecnici delle restrizioni. Ci si riferisce al filtraggio dei server DNS, quegli strumenti indispensabili per la traduzione degli indirizzi IP sul web. Il disegno di legge impone ai server di bloccare la trasmissione degli IP dei siti oscurati. Alcuni esperti hanno fatto notare che in questo modo si attenta alle fondamenta di Internet, dato che il sistema DNS è stato progettato per dare un ordine al complesso sistema degli indirizzi IP.
L’ACTA, essendo un accordo internazionale, si pone su un piano diverso dagli altri due provvedimenti. Tuttavia in prima linea ci sono sempre gli Stati Uniti, come dimostrato dalle dichiarazioni di Barack Obama, che ha definito l’ACTA un argomento di sicurezza nazionale. La natura extranazionale dei negoziati ha consentito ai Governi di aggirare le legislazioni dei Paesi aderenti, almeno sino a quando è stato siglato il patto. Il trattato, che adotta le stesse misure repressive presenti nelle due leggi americane, prevede pesanti sanzioni penali per punire i siti che violano il copyright. Non esiste diritto di replica, dato che la convenzione indica responsabilità penale per i gestori che si oppongono al controllo forzato. In più l’autorità giudiziaria non ha voce in capitolo per quanto riguarda le intercettazioni elettroniche sui vari social networks e siti a contenuto aperto.
Se possibile l’ACTA è più pericoloso degli altri atti, sia perché si applica su scala mondiale, sia perché accentua la negazione dei diritti di espressione, consegnando alle multinazionali il controllo dei contenuti su Internet. In definitiva i tre atti hanno caratteristiche diverse, ma fuoriescono dalla stessa matrice. Essi favoriscono forme di autotutela, e quindi azioni di censura volte a impedire la libera circolazione delle informazioni in rete.
Giuseppe Liucci