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ACTA, DOMANI VOTO A STRASBURGO. SI PREVEDE IL PIENO DI NO

Succederà attorno a mezzogiorno. Dopo anni di discussioni, proteste di piazza, trucchi, sgambetti e pesanti azioni di lobbying, mercoledì 4 luglio il Parlamento europeo voterà su Acta, l’accordo anticontraffazione. Stavolta é il voto decisivo. E’ assai probabile che Acta venga rigettato grazie al lavoro di convincimento fatto dalle associazioni per le libertà e i diritti digitali, gli internet provider, medici, ricercatori e Ong, sulle cinque commissioni che se ne sono occupate a livello europeo, nessuna delle quali si è espressa a favore dell’accordo. Sulla decisione finale pesa infatti la decisione della commissione per il Commercio interno (INTA) che si è dichiaratamente espressa contro Acta. Lo stesso vale per le altre commissioni e in particolare per quella sulle Libertà civili. Acta, l’accordo anticontraffazione, ha del resto una storia tormentata. Proposto e discusso in gran segreto fra gli Stati Uniti e rappresentanti di vari paesi amici, prima di essere portato a Bruxelles e votato da 22 dei paesi membri dell’Unione, ha sollevato grande opposizione per il metodo usato nel predisporlo, ma soprattutto per il merito. L’Accordo anticontraffazione, come dice il nome, doveva occuparsi di contraffazione (marchi e manifatture), ma ha preteso di estendere le sue competenze a molti aspetti del commercio elettronico, della ricerca e della libertà d’espressione proponendo una cura peggiore del male alle violazioni vere e presunte della proprietà intellettuale di libri, musica, film, e farmaci.

Che sotto ci fosse lo zampino dei maggiori content provider del mondo non era un mistero da quando nel 2005 un’insolita alleanza tra Mediaset, Fox, Sony e altre (Vedi articolo di Repubblica 5) aveva offerto alla Commissione Europea in un documento pubblico il proprio rimedio alla pirateria digitale: trasformare gli internet provider in una polizia privata a difesa del copyright, chiamandoli in correità per violazioni vere o presunte commesse dai propri clienti e proponendo la loro disconnesione da Internet; invocando sanzioni penali vagamente definite e senza l’intervento dell’autorità giudiziaria. Un meccanismo che, se approvato, avrebbe portato all’incriminazione anche di due ricercatori scoperti a scambiarsi una email riguardante un processo innovativo per produrre farmaci generici sotto brevetto, e non solo quando si favorissero “violazioni su una scala commerciale”.

Una formulazione che nel caso dei grandi hosting provider che consentono il file-sharing legale avrebbe determinato sospetto e incertezza anche per attività perfettamente lecite con l’effetto supplementare di danneggiare le piccole e medie imprese terrorizzate di finire in tribunale per un procedimento o un prodotto di cui fossero contesi copyright o brevetti. Un meccanismo che, non facendo distinzione tra le violazioni del copyright a fini di lucro, tipico della criminalità organizzata – quello sì da sanzionare – con il profitto indiretto di chi invece di acquistare un brano musicale lo scambia con un amico nei social network, trasformandolo in un criminale.

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