“Un conto è intercettare contatti aggiuntivi ed effettivi, un conto è gonfiare fraudolentemente i volumi di traffico”. Con un durissimo comunicato, il cdr del Corriere della Sera chiede spiegazioni all’amministratore delegato Pietro Scott Jovane sui dati di traffico gonfiati di Corriere.it per “difendere il buon nome e il lavoro dei giornalisti”.
IL COMUNICATO SINDACALE DEL COMITATO DI REDAZIONE
Care lettrici e cari lettori, ieri la rivista specializzata Wired ha pubblicato un articolo, che suscita sconcerto e indignazione, in cui si sostiene che la nostra azienda avrebbe gonfiato i contatti di Corriere.it . Nel servizio online viene addirittura mostrato un video che documenterebbe l’acquisizione fraudolenta di contatti. Oltre alla ricostruzione giornalistica preoccupano soprattutto le dichiarazioni attribuite a Rcs Mediagroup. In particolare la nostra azienda ha dichiarato che «quanto accaduto è una pratica molto poco pertinente ed estranea alla nostra cultura». Nel merito, però, il non meglio precisato interlocutore di Rcs ha aggiunto che «non c’è stato nulla di fraudolento da parte nostra. Abbiamo comprato traffico in modo trasparente per far conoscere il prodotto. Il fornitore Tradedoubler ha deciso a nostra insaputa di accelerare l’erogazione nei giorni di Pasqua. Quando ci siamo resi conto che non si trattava di quel che avevamo concordato abbiamo interrotto la fornitura». Rcs aggiunge inoltre che «la quantità di impression (cioè di volumi aggiuntivi di traffico generati da pubblicità su altri siti ndr ) è stata comunque minima, inferiore al 3 per cento del totale. Numerosi altri editori», si precisa infine, «si affidano a questi strumenti». L’amministratore delegato di Rcs Mediagroup, Pietro Scott Jovane, da parte sua ha precisato: «Trattandosi di un tema di marketing non ero a conoscenza dell’accaduto». Il Cdr è pienamente consapevole delle dinamiche e delle logiche, spesso poco note ai non addetti ai lavori, che governano il traffico dati sui siti web di tutto il mondo. È noto che pratiche di cosiddetto «web marketing», cioè di promozione e acquisizione di volumi aggiuntivi di traffico, siano correnti anche in Italia. Ma un conto è intercettare contatti aggiuntivi ed effettivi, un conto è gonfiare fraudolentemente i volumi di traffico. Il Cdr chiede dunque all’azienda un chiarimento formale individuando eventuali responsabilità e si riserva di assumere ulteriori iniziative di protesta. Al di là delle spiegazioni tecniche, c’è un punto che è assolutamente vitale: il buon nome, la reputazione, il lavoro, lo spirito di sacrificio dei giornalisti del Corriere della Sera non possono essere assolutamente associati o anche solo sfiorati dal sospetto di frode. Né il Corriere può diventare, come purtroppo sta avvenendo in queste ore, il bersaglio del web e dei Social Network. Se i vertici aziendali non avvertono l’importanza di questo principio non hanno capito fino in fondo dove si trovano. Del resto stupiscono i continui errori di comunicazione dell’amministratore delegato Pietro Scott Jovane. In una recente intervista ha sostenuto, sempre per restare in tema di online e dintorni, che Repubblica.it sarebbe il «benchmark», cioè il modello di riferimento del Corriere . Come può l’amministratore delegato di una delle più grandi aziende editoriali europee coltivare questa sudditanza culturale nei confronti del proprio diretto concorrente?