Una sentenza in parte decisiva quella emessa dalla prima sezione penale della Corte di Appello di Catania che il 2 maggio scorso ha ritenuto valide le motivazioni del giudice del tribunale di Modica, Patricia Di Marco, con cui il 9 maggio 2008 condannava il giornalista e storico Carlo Ruta, al pagamento di una multa di 150 euro. L’accusa? Aver pubblicato il proprio sito online di informazione civile “Accadeinsicilia.net” senza averlo prima registrato presso la cancelleria del Tribunale competente per territorio. Il riferimento normativo è quello richiamato dagli artt. 2, 5 e 16 della legge sulla stampa (L. 47/1948), la cui applicazione sancirebbe, si legge nell’impianto della sentenza del 2008, solo “una condizione di legittimità della pubblicazione, un mero controllo sulla regolarità formale dei documenti prodotti, onde garantire la repressione di abusi e di illeciti”, la cui eventuale mancanza, però, è sufficiente per dar luogo al reato di “stampa clandestina”. Se il quadro legislativo risulta essere abbastanza chiaro, meno immediato, per la difesa del cronista (come per qualsiasi altro blogger più o meno impegnato), risulterebbe invece il passaggio logico che ha indotto a inscrivere un blog (cioè un diario) di informazione e di documentazione di carattere storico e sociale (non solo di cronaca, quindi, come peraltro dichiarato dallo stesso Ruta), nel paradigma di “prodotto editoriale” a tutti gli effetti, così come descritto dall’art. 2 comma 3° della L. n. 62/2001. Accadeinsicilia.net, per i giudici, rimane un periodico di informazione, in quanto caratterizzato dall’assidua raccolta, dal commento e dall’elaborazione critica di notizie di comune interesse, per cui vige dunque l’obbligo di una regolare registrazione. Eppure, ricostruendo i retroscena dell’intero iter giudiziario, qualche motivo di perplessità intorno alla vicenda sembra sussistere. Tutto ebbe inizio a partire da un’inchiesta giudiziaria sulla Ellepi Srl, un’impresa immobiliare di Ragusa, coinvolta nell’agosto 2001 insieme all’amministrazione provinciale della stessa città, in un episodio di compravendita di un capannone poco trasparente. Il caso fu sollevato da un ex-funzionario pubblico, Sebastiano Agosta, di cui Ruta pubblicò sul proprio blog la testimonianza, dopo che l’intera vicenda fu archiviata in maniera “sospetta” (per la fretta con cui fu chiusa) dalla Magistratura. Il caso volle che l’inchiesta giudiziaria venisse curata dall’allora procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera (già noto alle cronache per una polemizzata inchiesta sull’uccisione del giornalista Giovanni Spampinato), che sentitosi ulteriormente danneggiato dalle parole di Agosta, non esitò a denunciare il blog di Ruta per diffamazione. Un’azione che ha dato piena attuazione alla condanna ad 8 mesi di reclusione del giornalista, nel quadro già fitto di querele collezionate negli anni e che hanno dato l’avvio ad un procedimento giudiziario in sede civile, con la richiesta di un risarcimento di 100 milioni di lire, oltre che ad aver condotto nel 2004 all’oscuramento del blog incriminato. Oggi, alla luce di un’ulteriore condanna per “stampa clandestina” comminata ad un sito online che, nei fatti e nella logica funzionava come un blog di impegno sociale e di documentazione storica, legittima è la preoccupazione riguardo il futuro di tutti quegli spazi web di informazione indipendente, di discussione, nonché di pubblico dominio, per cui la sentenza in questione rappresenterebbe un rischioso precedente. È lo stesso blogger siciliano a ribadirlo, avendo annunciato subito ricorso in Cassazione al fine di ottenere un pronunciamento di legittimità della Suprema Corte su di una questione che lui stesso definisce “di interesse generale, con pesanti effetti sulla libertà di espressione e di informazione”.
Manuela Avino
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