Che l’Egitto del generale Abdel Fattah Al Sisi sia un paese poco rispettoso delle libertà fondamentali è cosa nota. L’episodio di Hisham Genina, denunciato da “Il Fatto Quotidiano”, lo conferma. Il suddetto è stato consulente di Sami Anan, avversario di Al Sisi nelle ultime, scontate, elezioni presidenziali. E’ stato arrestato a febbraio con l’accusa di aver pubblicato informazioni false allo scopo di danneggiare la sicurezza nazionale. Trattasi di documenti sul ruolo dell’esercito a seguito della primavera araba del 2011. Pochi giorni fa è arrivata la condanna a cinque anni di carcere da parte di un tribunale militare. Già il fatto che sia stato condannato da una corte marziale la dice lunga sullo stato della giustizia in Egitto. Resta il sospetto, non tanto vago, che sia stato tolto di mezzo un personaggio scomodo, che sovente ha tentato di denunciare la corruzione presente ai vertici della politica egiziana.
Il generale Al Sisi ha donato stabilità al paese, dopo la Primavera Araba e il contestato governo targato Fratellanza Musulmana. Ma il prezzo della sicurezza è stato pagato dagli egiziani con la restrizione di garanzie e diritti fondamentali. In questo senso è da considerare la modifica della Costituzione, con l’assegnazione di un ruolo preminente alle forze armate nei quadri istituzionali del paese. La difesa dal terrorismo jihadista, innegabilmente un fenomeno di grande attualità, è ciò su cui si fonda il potere di Al Sisi, bravo a porsi come l’unico uomo in grado di proteggere l’Egitto dal caos regionale imperante. In questa ottica la situazione della vicina Libia, ad oggi uno Stato diviso in tanti micro-stati, ha dato credibilità a questa visione delle cose. Dal 2013 ad oggi numerose manifestazioni sono state represse dalle autorità, provocando arresti per giornalisti e attivisti di diritti umani. La stampa e, in generale, la comunicazione in Egitto non sono adeguatamente tutelate. I reporter svolgono il proprio lavoro continuamente sottoposti ad una spada di Damocle, quella della censura governativa. Sanzioni penali possono essere previste per i giornalisti che pubblicano informazioni in contrasto con quelle ufficiali governative e/o militari. In questo quadro è Internet lo strumento con cui la popolazione manifesta il proprio dissenso. Non sono mancati i filtri per siti potenzialmente sensibili, ma il blocco totale della rete è una misura che non è avvenuta e non avverrà, perché provocherebbe ritorsioni potenzialmente fatali per l’Esecutivo.