Un dibattito sul futuro dell’informazione tradizionale. Ma anche un confronto sul rapporto di amore-odio tra giornalismo e imprenditoria. La lunga relazione tenuta dal direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno, Carlo Bollino, davanti agli iscritti a Confindustria Lecce, ha infiammato la platea. L’incontro, organizzato dagli industriali nell’ambito del ciclo «Governare il cambiamento», ha consentito ai presenti di farsi un’idea della profondità della crisi che sta colpendo l’editoria. E anche di quanto si illuda chi dipinge l’informazione digitale come la panacea di tutti i mali del settore. Non è così. Dal tunnel, giornali radio e tv possono uscire solo puntando sulla qualità dell’informazione e con la ripresa della raccolta pubblicitaria. Il che carica di responsabilità gli imprenditori: «Una stampa povera non può essere libera», dice il giornalista.
Affianco al presidente di Confindustria Lecce, Piernicola Leone De Castris, ed al vicepresidente vicario, Vito Margiotta, Bollino ha spiegato, numeri alla mano, quanto sia profondo l’abisso in cui è sprofondato il mondo dei media tradizionali. «La loro sopravvivenza passa dal confronto con le imprese. Ma pure il rilancio delle imprese passa da una buona comunicazione. L’informazione ora è in una fase di rivoluzione autentica. Ma dal web, gli editori possono recuperare appena un quarto dei ricavi, segno che l’investimento sul digitale da solo non basta». In questo quadro a tinte fosche, uno squarcio di luce arriva da Oltreoceano, dal New York Times, i cui introiti da vendita di copie (digitali e cartacee) nel 2013 hanno superato per la prima volta i ricavi da pubblicità: «Secondo alcune proiezioni, però, ciò avverrà in Italia solo nel 2025 – avverte Bollino – Ciò che è chiaro è che in questo settore nulla sarà più come prima. Per risollevarsi serve il contributo, anche in termini di idee, da parte delle imprese, che credo sbaglino a ritenere la pubblicità un costo e non un investimento».
Parole che hanno acceso il dibattito. Interessante la posizione dell’assessore comunale Alessandro Delli Noci: «Sui siti vedo tanta quantità, ma ancora poca qualità; specie rispetto ai giornali. Bisognerebbe trovare il modo di stimolare gli internauti ad acquistare il giornale e non viceversa». L’editore televisivo Paolo Pagliaro è preoccupato, ma vede in una «nuova forma di raccolta pubblicitaria, basata sul cambio-merce» (che poi tanto nuova non è), una possibile scintilla di ripresa. Secondo gli altri industriali, rimettere al centro dell’informazione il mondo dell’impresa potrebbe essere una soluzione (Margiotta), a patto però che il prodotto editoriale si rinnovi: «Non ne possiamo più di giornali invasi dalle frasi slegate dalla realtà che i nostri politici si ostinano a pronunciare. Se continuate a dare loro spazio, come pretendete di confezionare un prodotto appetibile per i lettori e per le imprese?», provoca Giacinto Colucci, presidente di Federmeccanica Lecce. Anche per Vincenzo Portaccio (presidente Piccola Industria), «la pubblicità sui media tradizionali non ha appeal. Serve un prodotto nuovo per riavvicinare giornali e imprese».
Bollino ha chiuso il vivace dibattito ritrovandosi sul banco degli imputati. E la sua non è stata una miope difesa della categoria: «I giornalisti non sono immuni da colpe: si sono impigriti, non sono “multimediali” ed è vero che non devono inseguire la politica. Ma pure le imprese hanno bisogno di comunicare, e devono imparare a farlo meglio».
fonte:gazzettadelmezzogiorno.it