I giudici Ue hanno stabilito che un’emittente televisiva incorre nel divieto di pubblicità clandestina anche quando la trasmette senza che venga provata la riscossione di un compenso. La sentenza è destinata ad avere un effetto immediato in tutti gli Stati, inclusa l’Italia che, con il regolamento 538/01, adottato dall’Autorità garante per le comunicazioni, ha vietato la pubblicità clandestina, considerata tale, in linea con la direttiva Ue 89/552, solo in presenza di un compenso. Limite rimosso dalla sentenza della Corte.
L’Obiettivo della direttiva è stabilire norme rigorose per permettere al consumatore di comprendere quando i messaggi televisivi hanno carattere pubblicitario. Devono essere chiaramente riconoscibili e distinti dal resto della programmazione. È quindi vietata la pubblicità clandestina, considerata dalla direttiva come la presentazione di beni e servizi indicando un marchio o le attività di un produttore di un programma, in nodo intenzionale. È vero che l’articolo 1 considera intenzionale «una presentazione quando è fatta dietro compenso o altro pagamento» ma – precisano gli eurogiudici – non è l’unico modo per provare il carattere intenzionale di un messaggio pubblicitario. Mentre un’interpretazione restrittiva potrebbe compromettere «la protezione integrale e adeguata degli interessi dei telespettatori» e privare di un effetto utile la direttiva.