Il d.lgs n. 198/2010 entrato in vigore il 15 dicembre scorso in attuazione della Direttiva europea 2008/63/CE (recante disposizioni sulla liberalizzazione della vendita delle apparecchiature terminali di connessione delle tlc, in particolare dei router wi-fi), impone un’abilitazione alla professione per tutti gli addetti all’installazione, l’allacciamento, ed il collaudo degli apparati di trasmissione (voce e dati) spazianti dalla rete pubblica a quella privata degli utenti, scatenando non poche perplessità. Si tratta di “regole” che secondo Assoprovider (l’associazione che riunisce gli operatori di telecomunicazioni indipendenti) penalizzerebbero il liberismo, favorendo una nuova casta degli installatori telefonici, con tanto di certificato, e designati per legge, magari dalle stesse grandi compagnie telefoniche, attraverso la creazione di un apposito albo.Viene cioè attivata una nuova prassi, in base a cui ciascun utente avrà l’obbligo di rivolgersi solo ad operatori registrati “quando l’impianto interno di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla sua complessità e dalla larghezza di banda offerta dall’operatore di rete, abbia una capacità superiore ai dieci punti di utilizzo finale”, si legge nel provvedimento ma specificando che “Il solo allacciamento diretto di un terminale ad un punto di utilizzo finale non richiede l’intervento di imprese di cui all’articolo 2, comma 2”. Dunque, solo in quest’ultimo caso non scatterebbero le sanzioni pecuniarie previste dall’art. 3 che comminano multe da 15mila fino a 150mila euro a chiunque non sia autorizzato ad intervenire per legge e all’utente che abbia provveduto ad un’istallazione, per così dire, “fatta in casa”.
L’iter del provvedimento ha visto il 15 aprile l’apertura di una consultazione pubblica indetta dal Ministero per lo Sviluppo Economico in merito alla discussione della bozza di decreto ministeriale contenente il Regolamento di attuazione dell’art. 2 comma 2 del decreto in questione, che disciplina, per l’appunto, l’allacciamento dei terminali di tlc alle interfacce della rete pubblica e chiarendo le modalità procedurali per il rilascio della relativa abilitazione. Il testo ha sollevato, in quella sede, numerosi dubbi e perplessità confluite in alcune osservazioni ed orientamenti che dovranno essere esaminati prima dell’approvazione definitiva da rimettersi in seconda istanza al Consiglio di Stato. Dino Bortolotto, presidente di Assoprovider, non usa mezzi termini e parla di un testo “visibilmente etero diretto dalla casta degli installatori telefonici, con un rischio di nuove burocratiche vessazioni per tutti i cittadini italiani”, che si vedrebbero così costretti a ricorrere ad un installatore privato ad un prezzo medio di 70/80 euro a chiamata per ogni nuovo punto di accesso superiore alla soglia massima stabilita dal decreto legislativo di dieci apparati montabili autonomamente. Un aggravio di spese che andrà appesantendosi ulteriormente con il progressivo passaggio dal protocollo di rete Ipv4 all’innovativo Ipv6 (IP versione 6), ovvero il gruppo di protocolli standard che rappresenta la generazione futura dei protocolli di livello rete per Internet, che inaugureranno capacità di indirizzamento a livelli gerarchici ed un instradamento e funzionalità più espanse, richiedenti procedure specifiche per la trasmigrazione dal vecchio al nuovo protocollo, e dunque, la probabile installazione di nuovi terminali. La più semplice di tali procedure è la configurazione cd. “Tunneling statico” che deve essere attivata manualmente da parte dell’amministratore di rete in accordo con l’amministratore della rete in cui risiede l’end-point IPv4 remoto. “Se sarà necessario l’intervento dell’installatore per ciascun collegamento si profila una vessazione in piena regola per gli utenti”, ribadisce Bortolotto.
Ma il vero pomo della discordia è rappresentato dalla stessa definizione “allargata” di apparato terminale in cui rientrerebbero la stragrande maggioranza dei dispositivi della rete privata di ciascun utente (per tipi di allacciamento diretto o indiretto, ergo, via cavo, o fibra ottica o via elettromagnetica o per i collegamenti via satellite). In effetti la direttiva europea imponeva, in origine, la liberalizzazione di tutti gli apparati terminali d’utente, terminologia che, nel gergo tecnico, indica quell’oggetto unico che si frappone fra la rete pubblica degli operatori (dati, telefonia) e la rete dell’utente finale e che dunque si identifica con un telefono, un pc, un router, un televisore o un dispositivo Wi-Fi. La normativa avrebbe dovuto cioè garantire una libera commercializzazione di tali strumenti senza però creare un vincolo tra il cliente e l’operatore. Un legame che a quanto pare, si verrebbe inevitabilmente a stabilire (specie per le aziende) una volta fissato a dieci il limite dei dispositivi “free” ed il conseguente obbligo di rivolgersi ad operatori autorizzati che secondo lo stesso presidente di Assoprovider per giunta potrebbe favorire la lobby dei vecchi installatori Telecom, in particolare nella pubblica amministrazione.
Manuela Avino