Tra i tanti aggettivi che si possono usare per definire la personalità di Andrè Schiffrin, indubbiamente, non manca la lungimiranza, che ha portato lo scrittore francese nel 2000 ha scrivere il saggio “Editoria senza editori” che ruota sostanzialmente attorno alla difficoltà di sopravvivenza dell’editoria e della libreria indipendente. Un tema che torna prepotentemente all’attenzione dello scrittore nell’ultimo saggio “Il Denaro e le parole” dove Schiffin constata, con amarezza come, in Francia e nel resto d’Europa, lo spirito di opinione critica è stato sostituito da una cieca ed ossessiva ricerca del profitto. Ciò sta portando all’estinzione delle piccole case editrici indipendenti, delle piccole librerie e dei cinema d’essai.
Per l’autore le soluzioni sono nelle mani degli enti regionali e statali che devono aiutare e risollevare le sorti degli editori.
La Norvegia – presa ad esempio dall’autore – ha fatto del sostegno pubblico all’editoria e al cinema un vero e proprio diktat socio-economico. Nonostante conti poco più di 4 milioni di abitanti, questo Paese, sin dagli anni ’60, ha avviato una politica culturale volta alla diffusione ed al pluralismo dell’informazione, con il risultato che, ad oggi, la diffusione dei quotidiani è di 607 esemplari ogni 1.000 abitanti, la media più alta del mondo.
Se in Occidente vogliamo evitare di raggiungere il triste record delle morti bianche dei libri (Schiffrin afferma che si è passati dall’infanticidio dei nuovi titoli con poca prospettiva di vita, all’aborto, rompendo i contratti di titoli già esistenti, fino alla contraccezione odierna: i nuovi titoli sono totalmente estromessi dal processo produttivo) bisogna che lo Stato faccia da padre ai tanti scritti di nuovi e talentuosi autori, orfani di editori, perché solo così il processo di evoluzione culturale si rigenera costantemente.
Arianna Esposito.