Il passo indietro di Mark Zuckerberg dimostra che, in fondo, nemmeno i giganti del web sono imbattibili. Ieri, il capo di Meta ha annunciato la fine del fact-checking per come lo conoscevamo e l’inizio, o meglio il ritorno, a una politica più improntata alla libertà di opinione. Il vento in America è cambiato e alla Casa Bianca è arrivato, anzi è tornato, Donald Trump. Che, con il capo di Meta, non ha mai avuto chissà che buon rapporto al punto da minacciare di arrestarlo se dovesse “tradirlo” ancora. Ma ai grandi capi delle major digitali i dibattiti interessano poco. Così come la politica. Che è vista, interpretata e utilizzata come uno strumento per fare ancora più soldi. E allora perché Zuckerberg ha scelto di fare quel clamoroso passo indietro? Semplice, perché X – dove Elon Musk ha adottato criteri meno stringenti – sta subissando Facebook. Che, per inciso, rimane uno strumento frequentatissimo ma che vive un declino lungo, lunghissimo e apparentemente inarrestabile. È il social dei “vecchi”, la piattaforma “cringe” dove, per di più, bisogna stare attenti perché un algoritmo implacabile può decidere di mettere contenuti, pagine e intere aziende in un cono d’ombra dal quale rischiano di non riprendersi più. E in Italia non è successo solo a qualche sboccato fanfarone di provincia troppo fissato con chissà quale antica figura storica. È accaduto ai giornali. Bastava un titolo “sbagliato” (secondo gli algoritmi) e le aziende finivano di avere visibilità, oscurate. Come nelle peggiori delle dittature. Con la scusa dello “spazio privato”. Una giustificazione che, per l’appunto, è stata addirittura brandita come un’arma da (altri) giornalisti ed editori che magari sognavano di veder cancellata la concorrenza delle voci più piccole o “avversarie”.
La verità è che il pluralismo è una cosa fin troppo seria mentre i social non lo sono. A dispetto dei miliardi che fatturano. Basta una diretta di Zuckerberg per far finta di nulla, per “scusarsi”, per dirsi pace è fatta? No. Ma quello che abbiamo imparato è importante. Facebook, Meta e, alla lunga, persino Google e X non sono imbattibili. Non sono quelle che decidono di zittire chiunque, magari un presidente in carica come accadde a Trump o un giornale in Italia che pubblica qualche notizia che non piace alle lobby dei sedicenti fact-checker e loro danti causa. Nemmeno loro sono imbattibili.