La pubblicità di Google vola, il settore muore

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La notizia è passata, come spesso accade, quasi in sottofondo. In Italia Google è il secondo operatore in termini di raccolta pubblicitaria. Solo la Rai fa meglio. Quindi, a fronte di una crisi spaventosa delle imprese che producono informazione, qualcuno ci va bene, anzi benissimo. Il modello di Google, a differenza degli altri suoi, quasi, concorrenti è quindi vincente. E si può riassumere con due termini: altissima tecnologia e zero informazione autoprodotta. Infatti, gli over the top – a differenza degli altri soggetti – non hanno costose redazioni, giornalisti, collaboratori, non sono alle prese con cose vetuste, tipo stipendi, tredicesime, domenicali, riunioni di redazioni, collaboratori, coordinamento editoriale, enti previdenziali, Inps, Casagit, Fondo Casella, Enti integrativi, malattie, maternità. Non hanno giornalisti perché non producono informazione, utilizzano quella prodotta dagli altri per vendere, loro, la pubblicità. Sono talmente forti che se una norma nazionale, di recepimento di una comunitaria, prevede un equo compenso per i contenuti d’informazione prodotti dalle imprese editoriali, impugnano la norma , la disapplicano e, quando proprio non possono, fanno proposte ridicole, tanto i giornali sono morti e sepolti, fantasmi che camminano. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni lancia oggi un grido di allarme ma lo fa con colpevole ritardo perché, solo qualche anno fa, proclamava il roseo futuro dell’informazione digitale in nome di un mercato che avrebbe dato spazio all’informazione di qualità. Per carità poco sarebbe cambiato, le Autorità, come i legislatori nazionali, poco spazio hanno per contrastare il fenomeno della capacità degli over the top di fare del mercato il loro mercato. Ma almeno saremmo arrivati ad oggi con coscienza, avendo contezza del futuro di omologazione che si prospettava in nome di un algoritmo.

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