L’idea di tassare le grandi piattaforme per finanziare il pluralismo è nata in Italia, ma non lo sappiamo

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Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha deciso di occuparsi seriamente della crisi del settore editoriale dando mandato a 50 esperti del settore di proporre soluzioni concrete per arginare la costante perdita di giornalisti nelle redazioni. Tra le 15 piattaforme una è quella che potrebbe diventare anche in Italia la strada da seguire: l’introduzione di una tassa per le piattaforme digitali. Questa tassa consentirebbe di destinare importanti risorse al settore in modo da riequilibrare la patologica situazione in cui versa il mercato per il dirottamento di gran parte della raccolta pubblicitaria verso gli Ott anche attraverso lo sfruttamento dei contenuti degli editori. La Commissione europea con la legge sull’equo compenso ha provato a riequilibrare la situazione attraverso l’obbligo da parte degli Ott di remunerare equamente gli editori per l’utilizzo dei contenuti. Ma l’applicazione, almeno in Italia, della nuova normativa europea, sottoposta al controllo dell’Autorità per le comunicazioni, è malamente naufragata nelle aule giudiziarie e nell’indecenza delle proposte effettuate dalle grandi piattaforme, ben consapevoli della farraginosità di norme che nascono da modelli burocratici di difficilissima applicazione. L’ipotesi, invece, di prevedere una tassa ha tutt’altra valenza, in quanto lo Stato preleva e poi può redistribuire tra gli editori sulla base di criteri stabiliti per legge. In realtà in Italia questo tema era già stato affrontato durante il Governo Renzi e non a chiacchiere. Infatti, l’ultimo comma dell’articolo 1 della legge 26 ottobre 2016, n. 198, ancora in vigore, per quanto mai attuato per oscure ragioni che consentono alla burocrazia di non applicare norme di legge, prevede che le grandi piattaforme, come tutti gli operatori che operano del settore, devono contribuire al fondo per il pluralismo in ragione del reddito conseguito in Italia. In Italia a volte si fa prima e meglio che negli altri Paesi europei. Ma poi ci si perde nel chiacchiericcio e negli slogan che tanto bene fanno ai social network e tanto male al pluralismo.

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