Tutti zitti: dalle grandi guerre alle storie minime di paese

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Il giornalismo al tempo delle guerre: i media chiedono di poter entrare a Gaza, Mosca vuole processare i cronisti Rai che sono entrati al seguito delle truppe ucraine a Kursk. In fondo altro non è che lo spaccato di ciò che succede ai giorni nostri. Al di là degli scenari bellici, c’è sempre più ostilità nei confronti dell’informazione. E non è un processo che hanno avviato le guerre che insanguinano Europa e Medio Oriente. È qualcosa che parte da più lontano. Che ha interessato, come al solito, prima i piccoli. E soltanto adesso se ne accorgono anche i “grandi”, gli stessi che finora non hanno fiatato. Perché prima di chiudere Gaza, ai giornalisti, sono stati chiusi consigli comunali, regionali persino allenamenti e partite di calcio. Perché prima di voler processare i giornalisti che hanno sconfinato in Russia, decine e decine di migliaia di querele, più o meno temerarie, sono state depositate, minacciate, esperite contro cronisti che facevano il loro dovere.

Tuttavia, come già accaduto prima, meglio tardi che mai. Adesso che se ne accorge qualcun altro di quanto sia importante il pluralismo nell’epoca delle guerre, piccole e grandi, è già qualcosa. Ben svegliati. Intanto, però, consideriamo quante voci sono state messe già a tacere nell’indifferenza generale. Cose piccole, storie minime se volete. Imparagonabili a quelle grandi, quelle epocali di cui si parla. Eppure tradivano lo spirito del tempo, quello del giornalismo finito a fare entertainment o, alla meglio, a rilanciare comunicati inscalfibili redatti e caldeggiati dagli uffici stampa a ogni livello. La guerra invisibile ha lasciato macerie, in Italia. Un sindaco che scomunica un giornale. Un cottimista che querela sapendo di essere nel torto. Nessuno che paga. Tanto i giornalisti sono il male, come dicono gli ultrà. Ormai lo siamo tutti dal momento che i grandi player digitali speculano sulla polarizzazione. Noi litighiamo, loro incassano. E intanto, con l’illusione che ognuno possa dire la sua, che uno vale uno, nessuno sa (davvero) niente di niente e raccontare il mondo diventa impossibile. Ma lo sapevamo già.

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