Non è un mondo per giornalisti. La federazione internazionale ha contato, per l’anno che si è appena concluso, ben 68 morti. Ma a far clamore è il numero di cronisti finiti dietro le sbarre. In tutto, sono stati arrestati ben 375 giornalisti, in ogni angolo del pianeta.
I numeri pubblicati dall’Ifj sono inquietanti. In testa alle classifiche degli omicidi c’è lo scenario di guerra dell’Ucraina dove, nel 2022, hanno perduto la vita ben dodici giornalisti, cameraman e collaboratori. Resta altissima la tensione e il pericolo in Messico dove sono stati ammazzati undici cronisti. Segue, immediatamente dopo, un altro Paese centroamericano: Haiti. In preda a condizioni politiche a dir poco dilaniate, un Paese in mano alle gang, al disordine e al caos. Qui sono stati ammazzati ben sette cronisti. Uno per uno, i loro casi sono stati raccontati nel rapporto pubblicato dalla federazione internazionale dei giornalisti. Storie tragiche, di gente che è morta di lavoro, del loro lavoro. Quello di raccontare il mondo attorno a loro.
Ma, se possibile, c’è un altro dato inquietante che va sottolineato. Si tratta di quello legato al numero di giornalisti arrestati e incarcerati nell’anno scorso. Sono 375, un numero alto, troppo alto. In Asia, finire dietro le sbarre – per chi ha un taccuino in mano e la voglia di raccontare il mondo – è fin troppo facile. In Cina sono stati arrestati 75 cronisti, in Myanmar ne risultano 64 imprigionati. La Turchia occupa il poco lusinghiero terzo posto con 51 giornalisti ristretti in carcere. La svolta è ormai una realtà di anni, da quando è fallito il golpe che avrebbe voluto deporre il presidente Erdogan, c’è stato un giro di vite clamoroso sulle libertà di stampa e di opinione. Infine, nell’Iran dilaniato dalle proteste per i diritti, sono stati arrestati nel 2022 ben 34 giornalisti.
Secondo Anthony Bellanger, segretario generale della federazione internazionale dei giornalisti: “Questa pubblicazione non riguarda solo i livelli di violenza nei confronti dei giornalisti e degli altri operatori dei media, indicati dal semplice numero di attacchi contro di loro, ma anche le cause sottostanti. I dettagli contenuti in questo rapporto testimoniano una gamma di minacce, atti di violenza reali e una cultura dell’impunità, che spiegano la persistente crisi della sicurezza nel giornalismo”.