Fnsi vuole una nuova legge per l’editoria e striglia i partiti

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Il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, parla della riforma dell'editoria e dei prossimi passaggi dell'Ordine

La Fnsi alza il tiro e chiede una nuova legge per l’editoria. Anche il sindacato dei giornalisti, dunque, si ricolloca all’interno del folto coro di chi chiede alle istituzioni di prendere in mano una questione già gravissima e che adesso, tra Covid prima e guerra adesso, rischia definitivamente il tracollo. Le parole che il segretario generale Raffaele Lorusso a Firenze, nel corso dell’assemblea organizzata dall’Assostampa Toscana, sono a riguardo fin troppo eloquenti: “Non stiamo chiedendo finanziamenti a pioggia, non stiamo chiedendo che ci vengano riconosciute particolari guarentigie, bensì una legge con cui il settore venga accompagnato in questa fase di transizione, in questo caso al digitale, esattamente come vengono accompagnate in questo Paese tutte le fasi di trasformazione industriale”.

 

Lorusso ha ribadito: “Riteniamo che tutti insieme si debba insistere nei confronti delle istituzioni, a tutti i livelli, perché alla stampa venga data l’attenzione che merita. La categoria dei giornalisti è molto piccola, ma essenziale per la democrazia del paese ed è necessario che faccia squadra con tutti quelli che sono i suoi enti, ciascuno naturalmente nell’ambito delle proprie competenze; e lo faccia sia a livello centrale ma anche e soprattutto a livello territoriale”.

 

Inoltre il segretario generale della Fnsi ha scritto al direttore di Repubblica proprio per tirare le orecchie alla politica, sorda e disinteressata al destino dell’informazione e dell’editoria. “Nella campagna elettorale in corso, il tema informazione è fra i grandi assenti. Nelle proposte programmatiche delle varie forze politiche non c’è nulla che riguardi la salvaguardia del ruolo dei media. Un paradosso, soprattutto se si considera che in tanti, anche in questi giorni, denunciano il tentativo di apparati di disinformazione stranieri, a cominciare da quelli russi, di influenzare e condizionare l’opinione pubblica italiana. Questo pericolo, già segnalato durante il periodo della pandemia e sventato proprio grazie al lavoro degli organi di informazione professionali, dovrebbe spingere i partiti a riconoscere e valorizzare il ruolo della stampa attraverso misure mirate per affrontare la delicata fase di transizione digitale. Invece, si assiste ad una lenta ma inesorabile perdita di quote di mercato”.

E ancora: “In Italia la media giornaliera di quotidiani venduti è di poco superiore al milione di copie. Vent’anni fa era cinque volte di più. Il digitale è in crescita, ma non in misura tale da compensare le perdite della carta. Se questa situazione avesse riguardato un altro settore economico, si sarebbero moltiplicati i tavoli di confronto per cercare soluzioni. Neanche le minacce e le aggressioni fisiche ai cronisti e l’aumento esponenziale del precariato e del lavoro povero sembrano meritare l’attenzione delle forze politiche.
È un atteggiamento preoccupante: fatte salve poche eccezioni, limitate a singoli esponenti del mondo politico, i giornali e i giornalisti, soprattutto  quelli che ancora fanno domande scomode e promuovono inchieste, vengono percepiti come un fastidio”.

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