Luigi Di Maio se ne va in tv, a 90esimo minuto, a parlare di pallone e a proporre, in memoria di Diego Armando Maradona un “triangolare della pace” tra le nazionali di calcio di Italia, Argentina e Inghilterra. Peccato, però, che sia a dir poco irrituale che un ministro – per di più in testa a un dicastero importantissimo come quello degli Esteri – appaia in una trasmissione sportiva a lucrare consensi politici sul cadavere ancora caldo del Pibe.
Basterebbe già tanto e invece Di Maio – che all’epoca del Mundial di Spagna manco era nato – si è lanciato in una improbabile beatificazione del calciatore Paolo Rossi, condita dei soliti luoghi comuni finalizzati, evidentemente, a stiracchiare la sua (di Di Maio) immagine pubblica, striminzita e rattrappita nei sondaggi che calano. E finché fosse una questione meramente sportiva o elettoralistica, transeat: un post su Facebook, in quest’era di folle disintermediazione, non si nega a nessuno.
Il problema è che la Rai è un presidio di servizio pubblico e che forse per la prima volta nella storia un politico – meglio ancora, un ministro in carica e leader politico di una parte – presenzia in una trasmissione sportiva. Di Maio, e tutto il M5s in pericolosa crisi di consensi e ancor di più di credibilità politica, entra in tackle nel dibattito pubblico dalla finestra sportiva. Chissà, magari la prossima ospitata sarà direttamente del premier Conte, magari a commentare la grande epopea sportiva del Foggia di Zeman.
In altri tempi, giustamente, si sarebbero alzati altissimi peana scandalizzati. Oggi che M5s governa insieme al Pd, la reazione è affidata alle opposizioni, dai “renziani” fino a quel che rimane di un centrodestra sempre più forte nei sondaggi quanto debole sul piano istituzionale.
Erano arrivati in parlamento promettendo liberazioni, evocando la fin troppo famosa scatoletta di tonno. Ora sono finiti nel pallone. Loro e la Rai.