La domanda è attuale: come può un algoritmo condizionare la libertà? La risposta è difficile, perché bisognerebbe porsi altre domande: come la politica, e gli Stati, possano essersi sottratti all’ineludibile necessità di garantire il pluralismo; come è possibile che un soggetto privato decida di censurare opinioni, limitare la libertà di accesso a determinati contenuti. Non è in discussione la titolarità della piattaforma; ma il potere di giudicare i contenuti pubblicati. E il problema è ancor più grave se il giudizio non lo esprime un soggetto, ma un oggetto, l’algoritmo. Almeno fino a che non si doti di personalità giuridica anche l’intelligenza artificiale. L’episodio di sospensione da un social del gruppo delle 6.000 sardine diventa l’occasione per aprire una discussione aperta e consapevole su un tema che diventa centrale per garantire la libertà di espressione nel futuro; lo è perché proprio la natura del gruppo, che rientra nel politicamente corretto, consente di approfondire la libertà anche di quei gruppi di discussione che alimentano posizioni meno condivise, o condivisibili, ma legittime almeno fino a che non sia un giudice a non ritenerle tali. Perché la speranza che prima o poi si arrivi al famoso giudice di Berlino è una delle poche certezze del diritto; e un algoritmo della Silicon Valley non può essere l’alternativa.
Enzo Ghionni