p.MsoNormal
{mso-style-parent:””;
margin-bottom:.0001pt;
font-size:12.0pt;
font-family:”Times New Roman”;
color:navy;
margin-left:0cm; margin-right:0cm; margin-top:0cm}
–>
La New television – dalla tv
analogica al Digitale terrestre, Tv Mobile, Web tv, Business tv e Iptv – è stata
al centro del seminario organizzato dalla rivista “Millecanali” a Milano lo
scorso 27 novembre. Per anni si è parlato dello sviluppo della banda larga, un
concetto comune per internet, telefonia mobile e tv. Più spazio per trasmettere
dati in digitale compresa la tv, che così è più bella, pluralista, interattiva e
on demand: si può guardare in casa anche sul computer e a spasso anche sul
telefono cellulare. Le infrastrutture di rete per portare la banda larga nelle
case sono state costruite in pochi anni a fronte di una grande spesa da parte
degli operatori di telecomunicazioni, che al momento del lancio dei servizi tv
hanno fatto flop. Perché? Sicuramente perché non hanno innovato l’offerta
televisiva e hanno voluto ripiegare su qualcosa di sicuro (canali generalisti,
film, calcio, ecc.) per rientrare senza affanni dai costi per costruire le reti.
Ci sono stati problemi
nell’identificare lo spettatore della “nuova tv”. Lo si è voluto attivo e
intraprendente, individualista nella scelta di cosa vedere e scettico perché già
avvezzo alla “vecchia tv”. Queste definizioni contrastano però con l’offerta di
New television, che è ancora rigida con palinsesti fissi, poco interattiva ed
enfatica nel riproporre film, calcio e serial come qualsiasi tv. Insomma non si
è intervenuti sul prodotto, ma solo sulla distribuzione (Iptv, Tv mobile,
Digitale terrestre) costruendo un palinsesto e non creando nuovi contenuti. La
nuova tv si vuole che sia metropolitana, giovane e colta, ma si riuscirà a
imporla al pubblico solo “se si riconosce che la sfida è impegnativa e che si
gioca sui contenuti e non sulle tecnologie”, come spiega il professor Giorgio
Simonelli dell’Università Cattolica di Milano.
Anche il discorso ull’inteattività
della New television merita una riflessione, perché il canale di ritorno offerto
dai nuovi decoder digitali non viene sfruttato da un pubblico geneticamente
passivo. Le nuove piattaforme di tv digitale sono pur sempre una tv da vedere in
casa e seduti in poltrona. Per questo motivo “ci sono sempre i canali della tv
generalista su tutte le nuove piattaforme, come a giustificare che è la tv come
tutti la conosciamo e come tutti la vediamo” continua David Bogi di Mediaset. Il
problema – oltre allo spettatore che non ha contenuti nuovi se non a piccole
dosi – è anche legato agli operatori delle telecomunicazioni che non riescono a
costruire un business con rientri sicuri nel tempo e galleggiano in una lunga ed
esasperata sperimentazione.
"La tecnologia ha fatto passi da
gigante, ma è rimasta sola” dice Secondo Montrucchio di Philips che stigmatizza
come il canale di ritorno della tv digitale – la sicura fonte di reddito per via
dell’interazione del cliente che può acquistare eventi, oggetti o servizi – non
viene utilizzato se non in misura marginale con i video on demand. Si preferisce
andare sul sicuro con il canone, che permette alle telco e ai broadcaster
ritorni sicuri in un momento dove anche la pubblicità stagna per via della forte
concorrenza del web. In futuro le forme di profilazione del cliente sui consumi
possono addirittura portare introiti pubblicitari mirati (spot di abbigliamento
sportivo per chi acquista partite di calcio, per intenderci), ma siamo ancora
alla preistoria e c’è molto da lavorare.