Nella macro-crisi dell’editoria si può identificare una micro-crisi, quella dei quotidiani di partito. Nell’attuale panorama editoriale gli organi di stampa ufficiali delle formazioni politiche sono ridotti all’osso. Nelle edicole resistono ancora “La Discussione”, quotidiano storico della democrazia Cristiana e oggi riconducibile al Partito Popolare, e il sudtirolese Zukunft. Del “Secolo d’Italia”, organo di Movimento Popolare e in seguito di Alleanza Nazionale e Popolo delle Libertà, rimane solo la versione online. Gli altri sono completamente spariti dalla circolazione. Il caso dell’Unità è il più notorio, ma negli ultimi anni sono cessate anche la pubblicazioni di altri quotidiani di rilievo nazionale come “La Padania”, “Europa” e “Liberazione”.
Le motivazioni della crisi dei giornali politici sono ovviamente correlate a quelle dell’editoria quotidiana generale. I ricavi pubblicitari sono in costante calo, a causa della fagocitazione effettuata dalle tv e, soprattutto, dai giganti di Internet. Lo stesso web rappresenta un innegabile disincentivo all’acquisto di quotidiani stampati su carta: perché comprare in edicola contenuti che si possono avere gratis sulla poltrona di casa? La via degli abbonamenti online è attualmente poco tracciata e non sembra sortire effetti benefici per il business. I prezzi dei giornali cartacei vengono aumentati , per coprire i costi di produzione, e questo spinge ancora più in basso i ricavi. Rimangono (o meglio, rimanevano), come ancora di salvataggio, i contributi pubblici all’editoria. E, in relazione ai giornali di partito, una recente ricerca (2017) dell’osservatorio civico Open Polis ha dato interessanti risultanze.
Nel periodo che va dal 2003 al 2015 sono stati elargiti 238 milioni per finanziare l’attività dei quotidiani di partito. In tutto 19 giornali hanno ricevuto i fondi pubblici. Si passa da quotidiani celebri come “L’Unità” e “La Padania” a testate semisconosciute come “Il Sole che Ride”e “Campanile Nuovo”. I primi cinque giornali nella classifica stilata da Open Polis hanno ricevuto circa il 75% della somma totale. Eppure solo uno di essi (Il Secolo d’Italia, e limitatamente al web) è ancora attivo. “L’Unità”, “La Padania”, “Liberazione” e “Europa” hanno cessato le pubblicazioni nell’ultimo decennio, abbattuti uno ad uno da travagliate vicende finanziarie e societarie. L’indagine evidenzia pertanto che la corresponsione di contributi pubblici non è stata sufficiente ad arginare la crisi generale del settore editoriale. Fondi che non saranno più elargiti, poiché la recente riforma dell’editoria ha chiarito che non possono accedere ai contributi pubblici le imprese editrici di organi di informazione dei partiti e dei movimenti politici e sindacali (art.3, dlgs 70/2017).
Fattore specifico della crisi degli organi di stampa dei partiti è indubbiamente la crescente avversione dei cittadini per la politica. Tale tendenza incide sul panorama globale della stampa italiana, ma per forza di cose fa più male a testate che trovano la loro ragion d’essere nell’appartenenza politica. I quotidiani di partito sono dirette vittime dell’antipolitica, da intendersi come la perdità di dignità dei partiti e degli esponenti politici nell’immaginario collettivo.