La riforma dell’editoria e la liberalizzazione delle edicole. Il nuovo scenario.

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1992

La riforma dell’editoria ha ormai un suo calendario in Parlamento e tra le consuete polemiche è destinata, con ogni probabilità, ad andare avanti e a concludere il suo iter parlamentare prima della fine dell’anno. Però, l’attenzione – come al solito – è tutta concentrata sulle nuove norme in materia di sostegno pubblico agli editori. Si parla, invece, pochissimo delle modifiche che vedranno come destinatari i giornalai; anche in questo caso, come al solito. Eppure nella delega al Governo è prevista una norma specifica in ragione della quale è necessario procedere ad una ulteriore liberalizzazione della vendita di prodotti editoriali, promuovendo iniziative di concentrazione strategica dei punti di vendita e un regime di piena liberalizzazione degli orari di apertura. Inoltre, con una norma immediatamente operativa all’articolo 5,  si prevede che il principio di parità di trattamento si applichi alle testate che siano registrate presso il Tribunale, siano diffuse al pubblico con periodicità regolare, rispettino gli obblighi previsti dalla legge 47 del 1948 e che rechino stampati sul prodotto la data, la periodicità effettiva, il codice a barre e la data di prima immissione sul mercato del prodotto. A leggerla così sembra che al solito si vada verso il processo di informatizzazione (che per legge doveva essere realizzato nel 2012 e che di proroga in proroga non è ancora attuato) ed accelerare la liberalizzazione. E ancora una volta l’impressione è che la fantasia dei progetti e dell’enfasi delle dichiarazioni vada oltre quella che è la realtà: ossia che negli ultimi quindici anni hanno chiuso migliaia di edicole ed il sistema distributivo è collassato. Edicole, ossia esercizi commerciali che quindici anni fa valevano centinaia di migliaia di euro, oggi vengono, semplicemente, chiuse. Centinaia di milioni di euro di valore, perché il prezzo delle edicole faceva parte del patrimonio personale di decine di migliaia di famiglie italiane, quelle dei giornalai, dissolto nel nulla. E visto che sempre di liberalizzazione piace parlare nel mondo degli spot, il sistema distributivo nazionale e locale è passato da un sistema di oligopolio ad uno di sostanziale monopolio; alla faccia del mercato. E d’altronde bene lo dovrebbe sapere lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri visto che la vicenda che vede implicato il padre riguarda una società di distribuzione locale di giornali fallita; quella di Renzi senior è balzata agli onori delle cronache, ma – e lo sanno bene quelli che conoscono questo settore perché ci lavorano – è la stessa sorte che ha visto coinvolte migliaia di dipendenti di gran parte delle società di distribuzione. Diciamoci la verità, la crisi dipende dalla diminuzione della vendita di giornali che è un fatto esogeno, indipendente dalla volontà degli editori, dei distributori e dei giornalai. Meno giornali, meno entrate, meno aggi. Ma nel 2000 si decise, e lo decise la Fieg con l’ausilio del Governo, che i giornali si vendevano poco, non perché si vendevano poco, o perché la gente non leggesse, ma per colpa della posizione di rendita dei giornalai; partì la consueta campagna stampa sui privilegi della categoria e si decise che i giornali si potessero comprare pressoché ovunque, dai supermercati alle pompe di benzina. Un’altra categoria, in realtà, era in crisi, quella del tabaccai, ma per loro, o meglio per tutelare gli interessi erariali sulle accise sui tabacchi, nessuna polemica, ma un percorso costruttivo che li ha portati, oggi, a vendere sigarette e servizi pubblici (il pagamento delle tasse) e privati (il pagamento delle utenze e, soprattutto, la gestione dei giochi). Una questione di sciatteria nei confronti dei giornalai, i cui rappresentanti si appiattirono sulla posizione della Fieg, come se fosse un’istituzione e non una controparte, o di lucida gestione degli interessi (quelli dei grandi gruppi commerciali che volevano appropriarsi di un settore?). Non si sa, l’effetto è che gente che per quanto a liberalizzazione degli orari non ha molto da scegliere, perché i giornali arrivano all’alba, non è che ci sia molto da discutere, ha chiuso bottega o lo sta per fare. E il povero lettore, quello che non molla, sa che spesso per trovare il suo giornale deve camminare, perché per aumentare i punti di vendita li hanno dimezzati. Ecco, di questo nella riforma non si parla. E non ne parla nessuno.

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