La stampa a Napoli e in Campania, le sfide del nuovo Sindacato unitario

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La radiazione dell’Associazione della stampa napoletana da parte della Fnsi ha aperto un vuoto nel mondo del giornalismo a Napoli. Questo vuoto è stato da poco colmato dal nuovo Sindacato unitario giornalisti della Campania che si trova davanti ad una grande sfida: ricostruire un intero settore imparando dagli errori del passato. Claudio Silvestri, segretario del Sugc, spiega: “Editori e sindacato dei giornalisti si stanno confrontando sul nuovo contratto di lavoro. La parola d’ordine è inclusione”

claudio silvestri
Il segretario del Sugc, Claudio Silvestri

Il momento vissuto dalla stampa a Napoli, e più in generale in Campania, è particolarmente difficile. Oltre alle problematiche che il settore vive in tutto il resto d’Italia, infatti, in Campania la Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) aveva deciso di radiare l’Associazione della stampa napoletana, aprendo un vuoto che è stato colmato solo dopo più di un anno. Dal 28 aprile 2015 la Campania ha di nuovo un sindacato dei giornalisti legittimato dalla Federazione nazionale della stampa italiana, il sindacato unico e unitario dei giornalisti italiani. Per 14 mesi c’è stato un vuoto”, racconta Claudio Silvestri, 41anni, redattore del quotidiano “Roma”, e nuovo segretario del Sindacato unitario giornalisti della Campania dallo scorso settembre. “È un fatto molto grave in un territorio come il nostro, in cui la crisi dell’editoria ha effetti devastanti. Ma è anche un’occasione per ricostruire nel modo migliore, facendo tesoro degli errori del passato”.

Quali sono le criticità del territorio?
“Qui, più che in altri luoghi dobbiamo affrontare tre criticità: la crisi del mercato, un grave deficit imprenditoriale e un altrettanto grave deficit culturale”.

Cominciamo dalla crisi del mercato.
“La crisi è determinata da un cambiamento strutturale ed epocale dovuto allo sviluppo delle tecnologie digitali. L’interesse si è spostato dalla carta alla rete, questo ha determinato un crollo vertiginoso delle vendite nelle edicole. In meno di 10 anni abbiamo visto la riduzione vicina al 50%. Perdite che non sono minimamente compensate dalla crescita delle entrate sul mercato del digitale”.

E gli imprenditori?
“Mancano. I giornali in Italia sono gestiti da gruppi di potere o comunque da gruppi che rappresentano interessi particolari. Non ce n’è uno che pensi al prodotto. Nessuno ha seriamente investito sul futuro. L’unica strategia conosciuta da questi signori per affrontare la crisi è quella di tagliare sul costo del lavoro. Il ricorso agli ammortizzatori sociali è diventato la regola. Questo in generale, perché in Campania la situazione è decisamente peggiore. Qui non solo non c’è chi investe, ma c’è chi pensa di fare impresa editoriale truffando lo Stato e non assumendo i giornalisti. Ci sono troppi cialtroni e qualche delinquente”.

Un esempio?
“Ci sono editori estorsori che si fanno restituire parte di quanto versato con la busta paga. Vanno denunciati”.

A farne le spese sono i colleghi.
“Chiaramente, lavorare sotto ricatto non è facile. Ma a giocare a favore di questo tipo di editori c’è anche una diffusa ignoranza sindacale nel nostro territorio. Ci sono colleghi che non hanno mai letto il contratto, neanche per curiosità. Redazioni che non eleggono fiduciario o Cdr. Persone che hanno lavorato per anni nella stessa azienda senza mai aver visto la propria busta paga. Meno si ha coscienza dei propri diritti, più è difficile difendersi dai soprusi”.

Di chi è la responsabilità?
“Ognuno si deve prendere la propria fetta di responsabilità. L’imprenditoria cialtrona, il sindacato assente, i lavoratori indifferenti. L’indifferenza è certamente il male più pericoloso, perché apre le porte del potere ai delinquenti di turno”.

Quali sono le iniziative del nuovo sindacato campano?
“C’è davanti a noi un deserto e un lavoro enorme da fare. Abbiamo cominciato da zero, ma abbiamo le idee molto chiare su cosa dovrà essere il nostro sindacato. Le parole chiave sono trasparenza, partecipazione, diritti. Al centro c’è il lavoro, le risorse devono essere concentrate soprattutto sulla tutela dei diritti dei lavoratori. Per quanto riguarda l’organizzazione, bisogna spingere sulla territorialità e sui servizi. In una regione vasta come la nostra non è possibile pensare che si faccia tutto a Napoli, per questo sono stati nominati segretari per tutte le province: bisogna entrare nelle redazioni, nei palazzi delle istituzioni, ovunque ci siano giornalisti. È necessario, poi, che chi si rivolge al sindacato abbia risposte qualificate e dei servizi: tutti i venerdì c’è uno sportello con il consulente del lavoro; abbiamo uno sportello antimobbing e antiviolenza; offriamo, inoltre, assistenza fiscale ai lavoratori autonomi a prezzi vantaggiosi; ancora, abbiamo attivato numerose convenzioni che vanno dell’intrattenimento alla formazione. Il nostro obiettivo è quello di creare la casa di tutti i giornalisti, anche come spazio fisico di condivisione. La nostra sede in via Cappella Vecchia sarà un luogo aperto”.

Un obiettivo del nuovo sindacato.
“Cercare di portare una regola nel mercato selvaggio degli uffici stampa, ad esempio, dove anche la pubblica amministrazione non tiene conto dei diritti minimi di chi fa questo mestiere. Basti pensare ai bandi nei quali non viene richiesto neanche il requisito minimo dell’iscrizione all’Albo dei giornalisti”.

Abbiamo detto che c’è un mercato in crisi, in Campania ci sono barlumi di ripresa?
“Tutti i giornali in Campania hanno subito un drammatico crollo nelle vendite. Alcuni hanno chiuso. Anche una corazzata come “il Mattino” è stata costretta a ricorrere ai Contratti di solidarietà. La curva discendente non si è arrestata: rispetto all’anno scorso, il calo delle vendite è su percentuali a due cifre. Per non parlare della situazione delle TV private, dove si vedono sempre meno giornalisti”.

C’è qualche iniziativa per invertire la crisi?
“Attualmente editori e sindacato dei giornalisti si stanno confrontando sul nuovo contratto di lavoro. La parola d’ordine è inclusione. Non si può pensare di ragionare ancora sul modello della redazione del Corriere della Sera degli anni ’80. Il Contratto va scritto contemplando un ventaglio più ampio di mansioni e figure professionali. Ma i codici possono incidere relativamente se manca un fattore essenziale: il coraggio. Gli editori devono investire sul futuro, assumersi il rischio dell’impresa, una volta tanto”.

Anche il sindacato è in crisi.
“Il sindacato è sotto attacco. Da una parte subisce il fronte della delegittimazione esterna, quella portata avanti dalla politica. Ci sta, conviene a chi governa togliersi il sindacato dalle scatole. Poi c’è il fronte Interno della delegittimazione, quello più odioso: non mi piace una certa governance? Dico che il sindacato è inutile, che non difende i lavoratori. Nell’uno e nell’altro caso domina la demagogia. Parlare alla pancia delle persone è facilissimo, ma non è onesto. Chi vuole cambiare il sindacato lo deve fare dall’interno, portando sul tavolo del confronto le proprie perplessità. Il problema è che chi tenta di demolire non vuole nessun confronto, ma solo consenso. I giornalisti, invece, hanno bisogno del loro sindacato, che deve diventare sempre più forte. È importante esserci, partecipare, iscriversi. Bisogna difendere i corpi intermedi. È l’unica arma che abbiamo perché non sia un gruppo sempre più ristretto a decidere per tanti”.

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