Quello che per molti editori può essere il sogno di una vita per gli ideatori di Blendle ora è realtà: mettere in vendita articoli online come fossero app, brani musicali o film. In precedenza molti hanno fallito, ecco come gli olandesi ci sono riusciti, convincendo anche New York Times, Axel Springer ed i “big” americani a puntare su di loro
Una startup olandese è riuscita laddove molti colossi hanno fallito: creare un modello di business vincente sul web per vendere articoli e news tramite micropagamenti e paywall. La piattaforma si chiama Blendle e consente ai suoi fruitori di acquistare e leggere un articolo così come se si trattasse di una canzone o un’app da uno degli store presenti sulla rete. Il successo avuto finora, misurabile con i 250.000 che in un anno si sono iscritti alla piattaforma, ha convinto in breve tempo colossi come il New York Times e editori del calibro di Axel Springer a puntare su questo modello che si prepara allo sbarco in altri Paesi. Blendle funziona come molti altri negozi sul web: ci si iscrive e pagando un prezzo che va dai 10 ai 30 centesimi è possibile leggere l’articolo scelto tra quelli delle testate che hanno deciso di entrare nel catalogo del sito. “L’idea – spiega il cofondatore Alexander Klopping nel corso dell’ultima giornata dell’International Journalism Festival 2015 a Perugia – ci è venuta un anno fa. Sono un giornalista e pensavo: come mai gli utenti pagano Netflix per vedere film, Spotify per ascoltare musica, ma non vogliono pagare per il giornalismo”?
Una piattaforma unica nel suo genere
La risposta al quesito lanciato da Klopping è quantomai semplice: “mi sono reso conto – prosegue Klopping – che non esisteva una piattaforma per accedere a tutti i giornali in maniera semplice, con una sola registrazione, un solo sistema di pagamento e senza pubblicità”. E così il gruppo fondatore di Blendle si è messo all’opera bussando alla porta degli editori, ma prima di arrivare al successo hanno dovuto superare un grande scetticismo: “prima ci hanno preso per pazzi, ci hanno detto molte volte no, ma alla fine ce l’abbiamo fatta“, racconta il cofondatore di Blendle. Un servizio innovativo ed un’offerta che mira effettivamente alla soddisfazione dell’utente che vuole essere sicuro che valga la pena di pagare per il contenuto: “un amico ti consiglia un articolo, tu paghi mediamente 25 centesimi per leggerlo. Se non ti piace puoi chiedere i tuoi soldi indietro”. Questo punto è fondamentale nel successo del sito perché la richiesta di restituzione avviene solo nel 5% dei casi.
Una vittoria del giornalismo “classico”
Altro aspetto molto interessante è che su Blendle le notizie di gossip o quelle create appositamente per i click non funzionano, mentre a riscuotere il maggiore successo sono spesso articoli lunghi, analisi, e opinioni. Il dato è ancor più interessante tenendo presente che i due terzi degli iscritti sono under 35, giovani che vengono di solito ritenuti non disposti a pagare per leggere notizie. Blendle si propone il compito di aiutare l’utente a cercare le notizie che gli interessano perché, continua Klopping, “normalmente chi compra un giornale non legge tutto, legge un articolo o un’intervista specifica”.
Gli introiti vengono suddivisi tra gli editori (che prendono il 70%) e la piattaforma (a cui va il restante 30%) e riescono a generare un flusso piuttosto interessante, tanto che hanno deciso di aderire anche il Wall Street Journal, il Washington Post e l’Economist.
Ora per Blendle sta per aprirsi una nuova sfida: “tradurremo l’interfaccia in inglese e vedremo che succede – spiega Klopping – . Non saprei dire se il modello funzionerà in altri Paesi”. Secondo il cofondatore di Blendle gli esperimenti di micropagamenti fatti finora non hanno funzionato perché fatti male, mentre la sua piattaforma è in continuo movimento e lancia nuove funzionalità con grande ritmo, “insomma, il fatto di non avere idea di cosa diavolo fare sta funzionando molto bene per noi”, conclude Klopping.