«Ritengo che si debba fare una battaglia non solamente per mantenere in vita, ma per incrementare il fondo per l’editoria». Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania aderisce alla campagna #menogiornalimenoliberi, contro i tagli all’editoria che rischiano di far chiudere più di 200 giornali e di lasciare tutta l’informazione nelle mani di quattro grandi gruppi editoriali.
Presidente, dall’osservatorio dell’Ordine, qual è la situazione dell’editoria in Campania?
«Dall’osservatorio dell’Ordine dei giornalisti della Campania, e ancor di più da quando l’Assostampa napoletana è stata radiata dalla Federazione della stampa, si vede con grande evidenza una situazione molto preoccupante. C’è una crisi che ha cominciato a colpire, e quasi a spazzare via, subito alcuni free-press. Per alcuni anni hanno rappresentato una voce importante, ma per il crollo della pubblicità sono stati cancellati dal mercato. Poi ci sono le difficoltà che hanno colpito via via le televisioni che nei 10-15 anni precedenti avevano, anche grazie ai contratti Aeranti-Corallo, prodotto tanti posti di lavoro. Era, chiaramente, l’emersione di lavoro nero, ma è stato, comunque, un meccanismo positivo. Adesso queste tv hanno tagliato gli organici, hanno fatto ricorso massiccio alla cassa integrazione. Buona parte di quei posti che si erano guadagnati, tra gli anni Novanta e i primi anni del 2000, negli ultimi tre o quattro anni sono andati perduti. C’è poi la questione delle cooperative della carta stampata, dove abbiamo avuto la chiusura di giornali come “La Verità-Napolipiù”, che si era imposto nel settore della cronaca, e poi altri giornali che sono andati in difficoltà. Lo stesso “Denaro”, che nasceva come settimanale e poi è diventato quotidiano, ha dovuto fare marcia indietro. Anche lì si erano creati posti di lavoro che si sono persi. Proprio in queste settimane vediamo situazioni di difficoltà anche a Caserta, ad Avellino. Giornali quotidiani molto forti, che per molti anni avevano rappresentato un saldo baluardo anche per l’occupazione, hanno dovuto tagliare, licenziare o ricorrere alla cassa integrazione. C’è una situazione molto complessa e, purtroppo, anche il 2015 è cominciato con segnali negativi».
«Dall’osservatorio dell’Ordine dei giornalisti della Campania, e ancor di più da quando l’Assostampa napoletana è stata radiata dalla Federazione della stampa, si vede con grande evidenza una situazione molto preoccupante. C’è una crisi che ha cominciato a colpire, e quasi a spazzare via, subito alcuni free-press. Per alcuni anni hanno rappresentato una voce importante, ma per il crollo della pubblicità sono stati cancellati dal mercato. Poi ci sono le difficoltà che hanno colpito via via le televisioni che nei 10-15 anni precedenti avevano, anche grazie ai contratti Aeranti-Corallo, prodotto tanti posti di lavoro. Era, chiaramente, l’emersione di lavoro nero, ma è stato, comunque, un meccanismo positivo. Adesso queste tv hanno tagliato gli organici, hanno fatto ricorso massiccio alla cassa integrazione. Buona parte di quei posti che si erano guadagnati, tra gli anni Novanta e i primi anni del 2000, negli ultimi tre o quattro anni sono andati perduti. C’è poi la questione delle cooperative della carta stampata, dove abbiamo avuto la chiusura di giornali come “La Verità-Napolipiù”, che si era imposto nel settore della cronaca, e poi altri giornali che sono andati in difficoltà. Lo stesso “Denaro”, che nasceva come settimanale e poi è diventato quotidiano, ha dovuto fare marcia indietro. Anche lì si erano creati posti di lavoro che si sono persi. Proprio in queste settimane vediamo situazioni di difficoltà anche a Caserta, ad Avellino. Giornali quotidiani molto forti, che per molti anni avevano rappresentato un saldo baluardo anche per l’occupazione, hanno dovuto tagliare, licenziare o ricorrere alla cassa integrazione. C’è una situazione molto complessa e, purtroppo, anche il 2015 è cominciato con segnali negativi».
Anche i grandi giornali sono in difficoltà sul nostro territorio.
«“Il Mattino”, che rappresenta l’ammiraglia del Mezzogiorno, ha avuto già uno stato di crisi, si avvia a nuove forme di riduzione dei costi, probabilmente dei contratti di solidarietà, e ulteriori prepensionamenti. Ma è cosi anche per i grandi giornali che hanno redazioni in Campania, la stessa “Repubblica” si avvia adesso al secondo stato di crisi, con riflessi nazionali, ma anche sulla Campania, come già avvenuto cinque anni fa con la perdita secca di due posti di lavoro. Vediamo effetti negativi che vanno dai giornali nazionali fino a realtà più piccole. Questo ha avuto ripercussioni anche sui collaboratori. Il Mattino alla fine dello scorso anno ha tagliato drasticamente i compensi, stessa cosa ha fatto adesso il gruppo Espresso-Finegil per i collaboratori de “La Città” di Salerno».
C’è, poi, la questione dei tagli all’editoria. Negli ultimi anni il fondo è stato ridotto del 90%. Se la situazione resta questa, chiuderanno più di 200 giornali gestiti da cooperative.
«Nelle occasioni in cui esponenti del Governo sono venuti qui in Campania, come Ordine abbiamo lamentato il fatto che ogni anno vengano destinati fondi consistenti per operazioni di macelleria sociale, per aprire stati di crisi che portano a grandi tagli, in cambio di pochissime assunzioni. Nel contempo sono destinati meno fondi per le cooperative, che invece gestiscono quegli organi di informazione che garantiscono un’informazione capillare sul territorio. Sono una risorsa per l’occupazione, ma sono anche un presidio di libertà».
Questi giornali, spesso, rappresentano l’unica voce del territorio, e sono gli unici ad offrire un’informazione specialistica su temi importanti come il sociale.
«Coprono quello che i giornali nazionali fanno solo sporadicamente e settori trascurati dalla grande stampa».
Per avere un’idea dell’impatto dei tagli, basti pensare che in Campania resterebbe solo “il Mattino” come quotidiano locale.
«La prospettiva è inquietante ed è necessario che con la Federazione nazionale della Stampa aderiscano a questa iniziativa anche l’Ordine nazionale dei giornalisti e tutti gli ordini regionali. Spesso, a livello nazionale, i tagli vengono fatti in maniera burocratica, senza rendersi conto di quelle che sono le ricadute. E una ricaduta di questo tipo avrebbe effetti devastanti. È necessaria un’azione congiunta e mi auguro che, per una volta, la Federazione della stampa e l’Ordine siano d’accordo e senza polemiche affrontino questa situazione in modo unitario e compatto. Già negli anni scorsi sono stati fatti dei tagli pesanti, già sono stati fatti grandissimi sacrifici».
Perché sono importanti questi fondi?
«Non per mantenere in vita i giornali, sono fondamentali per la libertà di informazione nel nostro Paese. Altrimenti finiremmo per avere un’informazione sempre più parziale e sempre meno capillare».
In altri Paesi questi finanziamenti vengono chiamati fondi per la libertà di stampa.
«Sarebbe utile cambiare definizione anche nel nostro Paese, così tutti capirebbero di cosa si tratta. La gente può avere l’impressione che questi soldi siano destinati anche ai grandi giornali. Va spiegato che questo capitolo di spesa serve a mantenere in vita la libertà di informazione in tutte le nostre regioni. Poi i grandi giornali sappiamo che hanno anche loro altre forme di finanziamento. La grande informazione non è che si autofinanzia, anche lì ci sono notevoli aiuti da parte del Governo».
Senza le coop, resterebbero solo quattro gruppi editoriali a gestire tutta l’informazione in Italia.
«Si verrebbe a creare per la stampa una situazione simile a quella del duopolio nelle tv di qualche anno fa, prima che subentrassero La7 e Sky. Per questo serve una iniziativa forte».
Negli ultimi anni c’è stata una dura campagna contro i fondi per l’editoria.
«Ho sempre guardato con grande sospetto ad alcune crociate condotte da alcune firme nazionali, da alcuni giornalisti, o pseudotali, forse scrittori più che giornalisti. I piccoli giornali, quelli delle realtà locali sono fatti di giornalisti in carne ed ossa che dedicano la vita a questo mestiere e che garantiscono la libertà di informazione non meno di quanto la garantiscano gli organi di stampa nazionali. Anzi, garantiscono una informazione capillare che i grandi giornali non sono in grado di dare alla pubblica opinione».
Gli errori del passato, l’abuso nell’utilizzo di fondi da parte di alcune testate, è diventato un alibi per il Governo.
«Errori, quando ci sono finanziamenti pubblici, avvengono spesso. E succede in tutti i settori, non solo nel giornalismo. Ma ci sono tutti gli organi di controllo che intervengono quando c’è qualcosa che non funziona, e bisogna sempre aspettare come si concludono le indagini. Ma non può essere questo l’alibi per ridurre fondi che sono stati già ridotti al lumicino».
Il costo di questa scelta sarebbe di 3mila posti di lavoro, tra giornalisti e poligrafici, per non parlare dell’indotto.
«I costi sarebbero enormi in termine di occupazione. Ma quando diamo queste cifre dobbiamo pensare che dietro ogni singolo numero c’è una famiglia, ci sono figli da crescere, da istruire. I numeri aridi non danno idea di quella che è la reale situazione. Personalmente, ritengo che si debba fare una battaglia non solamente per mantenere in vita, ma per incrementare questo fondo».
Claudio Silvestri
(dal Roma del 17/2/2015)