Pluralismo sotto attacco in Italia, le piccole realtà annaspano sempre più in difficoltà e chi è riuscito a salvarsi nel 2014 sta già facendo i salti mortali adesso
I trend sono di quelli da far spavento: le copie distribuite si riducono di 200 milioni ogni anno, mentre sono 500 milioni le pagine di informazione in meno, un miliardo di articoli non scritti e, quindi, non letti. Queste le previsioni di nove tra associazioni e federazioni di settore Alleanza delle Cooperative Italiane, Mediacoop, Anso (Associazione Italiana Stampa Online), Articolo 21, Cgil-Slc, File (Federazione Italiana Liberi Editori), Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana), Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici) e Uspi (Unione Stampa Periodica Italiana). Per sensibilizzare l’opinione pubblica hanno deciso di lanciare la campagna social #menogiornalimenoliberi contro i tagli immotivati e retroattivi del contributo all’editoria. “Con le nuove regole i contributi per l’editoria sono percepiti solo dalle testate no profit – dice Roberto Calari, coordinatore di Mediacoop e di Alleanza delle cooperative – regole ferree sono le benvenute, ma purtroppo così si rischia di condannare tante testate, spesso legate a nuovi media, che pur offrendo un grandissimo servizio sociale, restano fuori dai giochi. Penso, per esempio alle tante radio in prima fila nella lotta alle mafie”. L’obiettivo di #menogiornalimenoliberi è aprire una discussione che possa portare a una riforma dell’editoria (annunciata dal governo per questa primavera) organica, in grado di dare una prospettiva sul futuro, che faccia ordine tra tutti i media anche di nuova generazione, che eviti che ogni anno si apra la discussione sullo stanziamento o meno dei fondi per l’editoria. Le associazioni di settore sono a lavoro con il Governo dallo scorso mese (vedi gli interventi di Francesco Zanotti e Caterina Bagnardi) per cercare una soluzione in tempi brevi, dopo la firma di un emendamento al decreto Milleproroghe, che possa salvare il mondo dll’editoria italiana.
Comunione d’intenti
“Stiamo lavorando insieme – prosegue Calari – tra le nove realtà associative perché abbiamo insieme analizzato e vissuto quello che significa oggi questo cambiamento e vorremmo provare a gestirlo insieme in un confronto che crediamo maturo tra le categorie che lavorano in questo settore e anzi avremmo auspicato un coinvolgimento maggiore da parte di alcune altre realtà come la Fieg e dei maggiori giornali. Devo dire che su questa situazione che attiene al pluralismo dell’informazione in Italia in una fase così delicata e verso le riforme che tutti vogliamo e condividiamo da tempo sarebbe stato auspicabile che da parte della cosiddetta stampa maggiore ci fosse un’attenzione diversa”. Il coordinatore Mediacoop si rende conto che sarebbe difficile ora mettere tutti completamente d’accordo sul contributo diretto all’editoria come lo intende lui dopo le modifiche dell’amministrazione Sarkozy ha compiuto poco più di due anni fa, “ma se pensiamo e crediamo ancora che sia particolarmente importante dare conto all’opinione pubblica di quello che sta succedendo su un tema così delicato come il rischio di chiusura di parecchie decine di testate a livello nazionale in una volta sola forse questo problema merita una riflessione più generale di chi, da un lato, fa il mestiere del giornalista e, dall’altro, degli stessi editori al di là dalle posizioni che possono vivere diversamente nel mercato”.
Troppe semplificazioni fuorvianti
Secondo il coordinatore di Mediacoop sul piano del pluralismo i maggiori editori farebbero bene almeno ad informare l’opinione pubblica: è un problema che non ha lo spazio che merita.
“Troppo spesso si è parlato di soldi pubblici dati ‘a pioggia’, di fondi pubblici inutili, di slogan che non distinguono sempre le condizioni che si cerca di esprimere nel modo più chiaro e trasparente possibile della contrattazione pubblica in questo ambito”. Contrattazione che si esprime ormai secondo modalità e criteri molto selettivi “che però non sempre presuppongono un’assoluta e rigorosa condizione del no profit e di cooperative di giornalisti, però allo stesso tempo mettono dei criteri importanti come le copie certificate di vendita o il rispetto dei contratti e la certezza di certificazione e di piena regolarità dei versamenti contributivi”. Tutti elementi che fanno sì, partendo dal presupposto che stiamo parlando di testate che non hanno proprietà dato che si tratta di cooperative di giornalisti, che si possa esprimere una parte di questo pluralismo. “Si tratta di una possibilità fondamentale – dice ancora Calari – che non sia solo il mercato a regolare la possibilità di fare informazione in Italia come in Europa. Un uso oculato, selettivo e verificato dell’intervento pubblico consente di intraprendere azioni imprenditoriali a dei soggetti che altrimenti non potrebbero permetterselo e supplire alle differenze messe in evidenza dal mercato: basti pensare alla questione della concentrazione pubblicitaria, quasi inaccessibile oggi per piccoli quotidiani e periodici. Risulta quindi compromessa una delle poche risorse importanti per questi soggetti”.
Progetti per la riforma
Nei progetti di riforma tutte le associazioni e federazioni citate in apertura hanno già delle idee sulla riforma che possono cominciare a mettere come contributo. “Crediamo che su questo alcune delle linee che abbiamo sentito in questi primi colloqui col Governo possano aver individuato delle possibili ‘fonti’ importanti da cui possono essere pensate quelle risorse che vadano a comporre in una chiave di riforma quel fondo per il pluralismo di cui si è parlato e che crediamo sia importante, che sia un elemento che non dovrà riguardare solo la carta stampata, ma più complessivamente il tema del pluralismo nel Paese, quindi anche della diversa medialità in cui questo si esprime come radio, televisioni e tutti quei soggetti che fanno informazione e i nuovi mezzi su ci si declina anche in termini di crossmedialità”, prosegue il coordinatore di Mediacoop.
La qualità dell’informazione
Ovviamente l’altro tema importante in questione è quello della qualità dell’informazione, del lavoro professionale, insomma: c’è bisogno di fissare delle caratteristiche criteri e regole di deontologia professionale, di rispetto dei portatori di interessi, di riscontro della capacità di produrre informazione. Sono tutti elementi che secondo Calari “possono comporre un quadro di regole in un progetto di riforma che non pensi solo alla carta stampata ma trovi una collocazione a tutte le varie sfaccettature del mondo dell’informazione come il no profit o le cooperative e ancora le radio, le tv e le testate online e il modo di fare informazione sulla rete con caratteristiche professionali.
Credo che tutto questo abbia già delle esperienze, ad esempio nel mondo dello spettacolo dove c’è la logica del pensare che si possa giocare un ruolo di funzione pubblica, di responsabilità sociale e di delega di una funzione pubblica riconosciuta dentro convenzioni, controlli, verifiche e indirizzi che il pubblico da in cambio di una percentuale che, idealmente, non deve essere superiore al 27-32% del totale dei ricavi di un’attività complessiva, cioè quella soglia che consente sperimentazione, ricerca, di mantenere certi criteri, in sostanza che serve a declinare certe caratteristiche delle convenzioni in base alle quali il pubblico esprime in una logica di sussidiarietà il ruolo di solito svolto da privati, ma comunque all’interno di regole e controlli severi”.
La politica si attiva
“Tutti gli schieramenti politici sono attenti al dibattito che stiamo portando avanti, anche dal Movimento 5 stelle ci sono state delle aperture”, dice Calari. Questo però non ha portato cambiamenti sostanziali. “Nel 2015, se abbiamo colto bene quanto dichiarato nell’incontro al Dipartimento Cultura dovrebbero essere circa 20 i milioni sul piatto, ma molte delle testate in questione sono messe seriamente a rischio a a causa di un finanziamento come sempre ex post e che comunque non copre un fabbisogno per gli aventi diritto superiore ai 90 milioni. Per contribuire in pieno a questo progetto di riforma bisogna che le realtà, imprese giornali, cooperative no profit debbano essere ancora in piedi, altrimenti in pochi giorni potrebbe scatenarsi un quadro di una drammaticità unica anche per questi tempi di crisi”, conclude il coordinatore di Mediacoop e Alleanza delle cooperative.