La tv pubblica? E’ da riformare, altrimenti rischia la paralisi. La Rai torna di nuovo al centro della discussione politica. Sarà per l’aria che tira nei palazzi della politica, sarà per i destini al momento incerti che pesano sugli equilibri dei vertici della tv pubblica che il perno del discorso dello stesso ministro Gentiloni resta lo stesso.
«Gli obiettivi – torna a precisare Gentiloni – sono tre: in primo luogo, una maggiore autonomia dal governo e dai partiti e un’uscita dalla lottizzazione che ha portato ad una degenerazione. Inoltre, vogliamo dare alla Rai un funzionamento efficiente che negli ultimi 15 anni non ha mai avuto. Per esempio, attribuendo al ruolo del direttore generale maggiore stabilità. In terzo luogo, intendiamo rendere la tv pubblica meno uguale a quella commerciale riducendo il peso della pubblicità per far sì che i programmi non siano determinati solo da ascolti e pubblicità. Non dico che la tv pubblica non debba aspirare a buoni ascolti e a buoni introiti pubblicitari ma se questi sono dominanti come nella tv commerciale la differenza non c’è più».
Lo ha spiegato due giorni fa il ministro, nel corso del dibattito su “cambia la Rai cambia la comunicazione”, lo ha ripetuto ancora ieri nel convegno dal titolo “Quali programmi? quali contenuti?” promosso dall’Isimm. Sta di fatto che il nodo è difficile da districare. Lo stesso che preoccupa per esempio il segretario della Federazione nazionale della stampa Paolo Serventi Longhi. «C’è qualcosa di positivo nel ddl Gentiloni per la riforma del servizio pubblico. Ma il problema non è tanto questa proposta di legge. Il problema è come la maggioranza e l’ opposizione si confronteranno in Parlamento. Vedo forti tensioni di privatizzazione nell’opposizione ma anche nella maggioranza». Preoccupazioni che tornano a tenere alta la tensione tra i giornalisti del servizio pubblico radiotelevisivo.
«La Rai ha bisogno di indipendenza dalla politica non di privatizzazione» sottolinea lo stesso Carlo Verna, segretario Usigrai. L’intervento del resto che in questi ultimi giorni ha “preoccupato” di più è stato proprio l’affondo del presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà. «La privatizzazione resta la strada maestra» ha tuonato. Gentiloni è tornato comunque a sottolineare che proprio quest’ultima non rientra nel programma di governo. In difesa del servizio pubblico si erge compatta la sinistra d’alternativa. «Il ruolo del servizio pubblico non può essere misurato con gli stessi criteri usati per valutare le attività delle aziende private» sottolinea Sergio Bellucci (Rc). Anzi, al contrario, proprio questo «va rilanciato» dicono all’unisono Giovanni Russo Spena e Gennaro Migliore (capigruppo al senato e alla camera del Prc). Anche perché – conclude il consigliere Rai Sandro Curzi – «è piuttosto inspiegabile che sia il presidente dell’Antitrust ad indicare al parlamento quali siano le linee di politica economica e culturale» in un settore assai importante per la democrazia come quello della comunicazione.