Crisi editoria. Per salvare il comparto bisogna intervenire con i bisturi, non con la zappa

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giornaliIl sogno dell’editore puro si sta infrangendo in questi anni sugli scogli della crisi. I tagli al settore lasceranno che solo i grandi gruppi industriali e finanziari del Paese producano informazione, la Fiat proprietaria della Stampa, e del “Secolo XIX”, e capo fila dal gotha del capitalismo italiano in Rcs con Il Corriere e La gazzetta, Caltagirone con Il Mattino, Il Messaggero, il Gazzettino e gli altri giornali locali, De Benedetti con il gruppo l’Espresso, Berlusconi con Il Giornale, Confindustria con il Sole 24 Ore. E’ il vecchio che in nome del nuovo avanza, come un rompighiaccio che spacca le diversità dell’Italia, in nome del mercato. Eppure un liberale vero, Ernesto Rossi, qualche anno fa, a proposito del rapporto tra informazione, industria e finanza scriveva in “Il Malgoverno”: “E il danno politico era ed ancor più grave del danno economico. Una industria pesante che si regge solo con i favori dello Stato è un fattore di corruzione di tutta la vita pubblica: finanzia i giornali, dà contributi ai partiti, stipendia funzionari nei ministeri, manda al Parlamento uomini sicuri che difendano i suoi interessi.Nel secondo volume della Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta per le spese di guerra, conclusa nel febbraio del 1923, a proposito delle ingentissime spese di società Ilva, si legge:”L’acquisto delle azioni delle società editrici di molti giornali, nelle diverse città d’Italia, non fu certamente compiuto per collocare in imprese redditizie dei milioni rimasti inoperosi e infruttuosi nelle casse dell’Ilva; bisognava aumentare intorno alla società, che viveva e prosperava a spese dello Stato, il coro delle voci dei grandi giornali, ed il plauso compiacente dei piccoli, della platea. Bisognava, mediante la sapiente propaganda giornalistica, persuadere l’opinione pubblica del paese che la siderurgia è un dono offerto dalla provvidenza alla nostra vita nazionale; prepararla a battere le mani alla scandalosa liquidazione che si sperava per i contratti di guerra; indurla ad approvare quei governi che si apprestassero a mantenere e anche ad aumentare il presidio della protezione doganale, il privilegio delle commesse di favore. Bisognava inoltre assicurare, agli uomini politici amici, la difesa di grandi opere della stampa, imporsi a quelli avversari o tiepidamente favorevoli con la minacciosa ostilità di giornali importanti. Era, infine, indispensabile disporre di difensori audaci e temuti per il giorno, non improbabile, del redde rationem”.

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