«L’obiettivo era salvaguardare il contratto collettivo nazionale. Ci siamo riusciti in un quadro complicassimo per il mondo editoriale». Ma nonostante questo, Franco Siddi segretario della Federazione nazionale della stampa è amareggiato. Amareggiato per le tensioni di questi giorni e soprattutto perché, «chi mi critica non ha ben chiaro non solo il sistema editoriale ma la realtà nella quale viviamo». Una realtà, che negli ultimi dieci anni, dati alla mano, ha perduto il 50 per cento dei ricavi nominali tra vendite e pubblicità. «I giornali chiudono, il 35% dei quotidiani – spiega Siddi – è in stato di crisi con giornalisti in cassa integrazione e contratti di solidarietà: non si può far finta che tutto questo non esista. Il conto, sino ad oggi, lo hanno pagato i giornalisti, ma con questo nuovo accordo abbiamo iniziato ad invertire la rotta e sia gli editori che lo Stato inizieranno a farsi carico della loro quota». Certo, i numeri impressionano. Ed, infatti, se solo cinque anni fa, nel 2009, i giornalisti impiegati erano quasi 6mila 500, nel 2013 sono scesi a 5mila 682 con 8mila 150 pensionati. Cifre, che riassumono un mondo professionale che si evolve, cambia, si restringe e che forse non «può restar ancorato a se stesso». Già, riprende Siddi. «Non si può più misurare il contratto collettivo con le aspettative di un professionista che ha avuto la fortuna di lavorare in un momento nel quale qualunque attività imprenditoriale, qualunque professione era sempre in forte crescita e in espansione. La realtà è cambiata in Italia e all’estero: nessuno è disposto a pagare i giornalisti a prescindere dai risultati economici». Detto questo, si poteva fare meglio, vero? «Se mi chiede se questo è il miglior contratto possibile o l’accordo che avremmo voluto fare, dico no…Ma questo, però, è l’accordo massimo possibile. Soprattutto se teniamo conto che è il primo contratto che costringe la controparte ad assumere il modello contrattuale per tutta la professione. La legge sull’equo compenso ci ha aiutato in questa direzione. Ma siamo andati oltre definendo profili professionali diversi». E, comunque, arrivano pure un po’ di incentivi per giovani e aziende che assumono… «Per la prima volta – sottolinea Siddi – c’è uno scambio tra prepensionati in uscita e reingressi e ciò significa andare sempre di più verso i giovani. In questo senso il decreto del governo (a firma Lotti) ha giocato un ruolo significativo favorendo l’apertura di canali con diritti a gradazione crescente per far ripartire l’occupazione; giovanile sì ma anche per il reinserimento di chi il lavoro lo ha perduto in questi anni». Tanti però lamentano la fine della cosiddetta «ex fissa»… «Ed è qui che entriamo nel campo delle rivendicazioni personali. Ma la riforma di questo istituto – chiarisce il segretario della Fnsi – era indispensabile per evitare che entro i prossimi due mesi fosse dichiarato il fallimento del fondo: solo nel mese di giugno sono arrivate ben 34 richieste, e se ne potranno liquidare appena nove. La riforma, invece, concorrerà a creare nuove condizioni di accesso alla professione…E poi sa cosa le dico?…Che c’è chi fa i contratti e chi sparlando dei contratti, che non conosce, fa campagne di propaganda. Noi abbiamo scelto la strada di cercare risposte agli interessi di una categoria, quella dei giornalisti, e di un settore, quello dell’editoria, colpiti in questi anni da durissima crisi. I giornalisti non sono l’ombelico del mondo né esenti dai processi che lo investono. Hanno il dovere di essere competenti, di conoscere prima le cose per mettere poi il contributo della oro attività professionale nelle disponibilità dei cittadini. A maggior ragione devono guardare i dati della loro condizione all’interno del contesto produttivo economico e sociale in cui lavorano».
DA LA STAMPA DEL 4 LUGLIO 2014 ARTICOLO DI PAOLO FESTUCCIA