La polizia ha fatto irruzione nel domicilio di un giornalista per sequestrare documenti di lavoro cartacei e informatici. Non è accaduto nello Zimbabwe, ma a Neuchatel, cittadina svizzera circondata da laghi e castelli. Il giornalista, Ludovic Rocchi, lavora per il quotidiano “Le Matin”. Ad un professore universitario, da lui accusato di plagio e mobbing, non è andata giù l’inchiesta del giornalista. Perciò, mentre il reporter era assente, ha richiesto alle autorità ticinesi l’intervento del braccio armato. Detto, fatto. La magistratura ha concesso la perquisizione dell’abitazione del giornalista. Le motivazioni addotte sono calunnia, diffamazione e violazione del segreto d’ufficio.
Ovviamente il fatto ha provocato l’indignazione del quotidiano per cui lavora Rocchi. Il dibattito verte sulla proporzionalità tra i mezzi utilizzati e l’entità del reato. Il procuratore Nicolas Aubert sostiene che il principio è stato rispettato. L’organizzazione degli editori romandi, Medias Suisses, parla di grave attentato alla libertà di stampa. Difficile dare loro torto, dal momento che il sequestro del materiale di lavoro di un giornalista dovrebbe essere effettuato solo quando l’inchiesta riguarda gravi lesioni di diritti della personalità. Come l’omicidio e lo stupro, non come il mobbing, tanto per intenderci.