ALLARME ROSSO per l’editoria di opinione. Tagli pesanti e da subito ai contributi pubblici per i giornali di partito, per quelli cooperativi, per le testate espressione di fondazioni e del mondo no-profit.
Scatta la denuncia trasversale dei Cdr da il manifesto alla Padania, da l’Unità a Avvenire, da Europa a Liberazione, al Secolo d’Italia: «Ci vogliono cancellare». Questo sarebbe l’effetto del decreto legge 159 di accompagnamento alla Finanziaria, voluto dal ministro dell’Economia, Padoa-Schioppa, approvato dal consiglio dei ministri lo scorso 29 settembre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 2 ottobre. È quindi da subito che scatta quel taglio del 7 per cento ai finanziamenti «diretti» all’editoria «debole» relativi agli anni 2007 e 2008. Parla chiaro il primo comma dell’articolo 10. Se non vi saranno modifiche del Parlamento all’atto della conversione e quindi entro il prossimo 2 dicembre, non solo si vedranno ridotte le risorse per il prossimo anno, ma anche quelle per l’anno in corso. L’effetto retroattivo del provvedimento potrebbe comportare una drammatica e istantanea riduzione dell’accesso al credito per importi considerati già acquisiti da aziende editoriali che vivono già una condizione difficile. Cassa integrazione al Secolo d’Italia e alla Padania, prepensionamenti a l’Unità, stato di crisi al manifesto. Si parla di redazioni vere, strutturate, dove si applica il contratto nazionale giornalistico, testate che hanno una distribuzione ramificata sul territorio e per questo costosa e che, soprattutto, sono fortemente penalizzate dalle logiche discriminati del mercato pubblicitario. Quel 7% in meno sul totale di 170 milioni di euro per l’Unità che ne prende 6 milioni vuole dire circa 500mila euro in meno, per Liberazione 210mila euro e via dicendo. Sono cifre che possono apparire poca cosa, ma che non lo sono di certo per queste realtà editoriali.
Per questo è scattato l’allarme trasversale dei comitati di redazione di testate espressione di aree culturali e politiche diverse. Dai Comitati di redazione si leva la denuncia comune fatta propria dalla Fnsi e dalle Associazioni stampa locali: «Ci vogliono cancellare. Con questi tagli all’editoria si finisce per chiudere il giornali di opinione e di idee».
La denuncia è lucida. «Con questa misura si rischia di cancellare una realtà dell’editoria fondamentale per il pluralismo e la libertà d’informazione» si legge nella nota comune. A chiare lettere si denuncia come quei tagli «determinano una vera e propria emergenza in un settore che non è finalizzato a logiche di profitto ma di espressione del pluralismo culturale e che sconta già difficoltà economiche soprattutto per le discriminazioni del mercato pubblicitario». Si paventa anche per testate storiche e consolidate «il rischio di entrare nel tunnel di una pesante crisi».
La risposta è quella di spiegare la natura di questi effetti e chiedere al governo e al Parlamento la cancellazione di norme ritenute «inique e lesive del fondamentale diritto dei cittadini a essere informati». Per questo giovedì 11 ottobre nella sala stampa della Camera si terrà una conferenza stampa-denuncia. È il primo passo. Sul piatto vi è anche quella riforma dell’Editoria a firma del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Ricardo Franco Levi, e l’esigenza di distinguere tra giornali veri e altro.
Il clima è difficile. Beppe Grillo dall’antipolitica passa ad attaccare i giornalisti. Li definisce «camerieri con l’anello al naso» e l’informazione italiana sarebbe «un vero e proprio cancro per il paese, perché succube del potere politico». Grillo in conclusione chiede l’azzeramento del finanziamento pubblico all’editoria. «Governo, opposizione, ora anche Beppe Grillo. È ormai un tiro al piccione nei confronti dell’informazione e dei giornalisti» gli risponde il segretario nazionale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi che invita ad una grande mobilitazione e un’ampia discussione sul rapporto tra informazione e politica, indicata come «questione cruciale in un paese democratico». Il segretario della Fnsi ricorda come il taglio indiscriminato delle provvidenze «porterebbe alla sicura scomparsa soprattutto dei giornali più deboli». Altro che difesa di «casta».