Gad Lerner è stato vicedirettore di un piccolo quotidiano militare come “Lotta Continua” e del giornale della Fiat, “La Stampa”. Ha lavorato a “Radio Popolare” ed è diventato noto al grande pubblico con una serie di programmi firmati e condotti per il piccolo schermo: “Profondo Nord”, “Milano”, “Italia”, “Pinocchio” e – più recentemente – “L’infedele”.
Eppure, proprio lui che di stagioni del giornalismo ne ha attraversate parecchie, di finanziamento pubblico all’editoria, non vuole nemmeno sentirne parlare. In un articolo apparso oggi su “Liberazione” ha affermato: si tratta di “un bubbone che avrei voluto si incidesse già con il governo Prodi. È incomprensibile che esistano testate che ottengono fondi pubblici per poi magari predicare ed esaltare il libero mercato”. “Non mi sento di giustificare l’idea – continua il giornalista – secondo cui si debbano accettare contributi che vanno a carico di tutti i cittadini, sia che siano diretti, sia che siano mascherati, come quelli che arrivano grazie alle agevolazioni postali. E nemmeno mi pare sufficiente la spiegazione secondo cui i contributi sarebbero giusti perché vengono elargiti finanziamenti ancora più scandalosi per pseudo operazioni culturali”. Insomma, Lerner sembra dire che chi fa da se fa per tre: “I migliori vivrebbero lo stesso e troverebbero modalità alternative. Quello dell’aiuto di mamma Stato rappresenta addirittura la mortificazione della militanza”. E’ stesso lui, poi, a sottolineare che la predica viene da un “pulpito privilegiato”. Gad Lerner, infatti, ha alle spalle una carriera più che soddisfacente e gode di un reddito elevato da lavoratore autonomo ma, soprattutto, da conduttore televisivo.
Ma, non possiamo sottolineare che, se si informasse meglio, saprebbe che quella che lui chiama “anomalia italiana” (“il finanziamento pubblico all’editoria è una stortura tutta italiana” – ha affermato) in realtà non è tale. Sul nostro sito (vedi pagina “studi e ricerche”) è tutt’ora pubblicato uno speciale che mette in evidenza come il sostegno statale alla stampa non è una prerogativa italiana, anche se le modalità di erogazione e la distribuzione delle competenze, in Europa, disegnano un panorama molto variegato. In molti Stati europei (come la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi, l’Austria, il Portogallo, la Francia e il Belgio) i contributi all’editoria sono visti come un mezzo indispensabile per garantire l’esistenza dei giornali e contribuire al pluralismo informativo. Senza contare che, in quasi tutti i Paesi europei, si registrano forme di aiuti indiretti più o meno simili: aliquota ridotta IVA e tariffe postali agevolate.
Dunque, se è vero che esiste “un’anomalia italiana” non riguarda la concessione di contributi all’editoria ma il mercato, proprio quel mercato a cui aspira Gad Lerner per fare selezione dei migliori. La relazione annuale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 2008 ha individuato le quote di mercato dei mezzi che compongono il Sic (sistema integrato delle comunicazioni) e la stampa quotidiana vale il 14,7% contro il 35,9% della televisione. L’anomalia italiana permette che, per l’assenza di regole, la tv commerciale succhi quasi il 55% della pubblicità – caso unico in Europa – lasciando alla stampa un 35% che viene conteso tra i big del settore a suon di gadget. Tutto mentre le copie in edicola subiscono una costante erosione. Riprendendo una recente affermazione di Polo Franchi: “il mercato puro non esiste più neanche nei buoni manuali di economia, resiste solo negli editoriali della domenica”.
Fabiana Cammarano