PORTE APERTE ALLE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE.

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In Inghilterra sembra che l’editoria scientifica si stia avviando sulla “dibattuta” strada del libero accesso ai contenuti, fenomeno che ultimamente sta prendendo sempre più piede.
All’inizio di Aprile, il Consiglio di Ricerca britannico, canale attraverso cui il governo trasmette i soldi dei contribuenti ai ricercatori accademici, ha cambiato le regole sulle modalità di gestione e pubblicazione dei testi scientifici.
Il nuovo regolamento prevede, infatti, che da ora in poi i testi in questione siano pubblicati su giornali che li rendono, poi, gratuitamente fruibili preferibilmente nell’immediato o tutt’al più nel giro di un anno.
Questo tipo di strada è stata percorsa anche dall’Ufficio di Scienza e Tecnologia, così come dai membri dell’Unione Europea ed anche dal consorzio di laboratori di fisica, biblioteche ed agenzie di finanziamento dal nome Scoap, organismo che sta spingendo i dodici maggiori giornali del campo a rendere gratuiti i circa 7.000 articoli che annualmente editano.
Insomma si tratta di un giro di affari da non sottovalutare.
D’altronde, vendere i contenuti del lavoro di altri senza alcun costo in un processo che può essere definito “Peer Review” (la procedura di selezione degli articoli o dei progetti di ricerca effettuata attraverso una valutazione esperta eseguita da specialisti del settore per verificarne l’idoneità alla pubblicazione su riviste specializzate o, nel caso dei progetti, al finanziamento) può risultare davvero molto profittevole.
La società di consulenza californiana Outsell stima che la formula di libero accesso ai contenuti scientifici pubblicati sulle riviste ha generato, solo nel 2012, un incremento per gli editori di 172 milioni di dollari e ci si aspetta che raggiunga la vetta dei 336 milioni di dollari nel 2015.
Si tratta di un vero e proprio business in cui la pubblicazione senza frontiere potrebbe diventare la regola in un futuro in cui saranno gli autori a pagare le riviste per fare pubblicare i propri studi.
Ma chi l’ha detto che questo non accade già ora?
All’interno della rivista scientifica Peer J, fondata appena un anno fa, gli autori per pubblicare i propri lavori pagano una tassa riservata ai membri che va dai 99 ai 298 dollari (la quota dipende dal numero di pubblicazioni ogni anno) e la regola vale anche per i co-autori che devono necessariamente essere anch’essi essere membri e firmatari dell’accordo.
Ma c’è anche chi cerca di combattere questa tendenza.
La Wellcome Trust (un’associazione benefica medica), la Max Planck Society e l’Istituto medico Howard Hughes hanno dato vita a eLife, una rivista che non chiede contributi di pubblicazione.
Congiuntamente a questo tipo di iniziativa, Jean-Pierre Demailly dell’Università di Grenoble, assieme ad un gruppo di ricercatori matematici, ha lanciato il progetto Episciences, il cui scopo è quello di dimostrare che i ricercatori stessi possono produrre materiale di consultazione a buon prezzo, bypassando i tradizionali canali.
Episciences consentirà ai suoi lettori di avere un’anteprima delle pubblicazioni scientifiche su rivista attraverso un archivio online che fungerà da raccoglitore.
Questo sistema, chiamato ArVix, è ospitato dalla Cornell University al prezzo di 830,000 dollari all’anno.
In questo modo gli accademici che bypassano gli editori diventano editori essi stessi.
Ora la domanda è un’altra: da che parte penderà l’ago della bilancia? A favore dei ricercatori o degli editori?
La partita è ancora tutta da giocare.

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