“La carta morirà, sta già succedendo, giornalisti e lettori non sono più due entità distinte e la sfida per il futuro è trovare modalità sostenibili di produzione delle notizie”. Non è un compito semplice mettere ordine nel caotico mondo dei media e tentare di tracciare le linee di sviluppo del settore. Ci ha provato Emily Bell, ex responsabile dei contenuti digitali del Guardian e ora docente alla Columbia University di New York, nel saggio uscito da pochi mesi “Post-industrial journalism: adapting to the present”, scritto con C. W. Anderson e Clay Shirky e considerato ormai la Bibbia dell’informazione contemporanea.
Il giornalismo è entrato in una fase post industriale, sostiene la giornalista, tra le “star” del Festival di giornalismo di Perugia.
“Significa – spiega all’inviato dell’Ansa, Michele Cassano – che stiamo uscendo da una fase in cui i media erano strutturati come grandi fabbriche con prodotti definiti, processi produttivi prestabiliti, ricavi significativi e lavoratori assunti per realizzarli”. “Tutto questo – aggiunge – è finito e viene rimpiazzato da un ecosistema di organizzazioni in cui l’influenza degli individui sui giornalisti è molto maggiore del passato e il potere dei brand e delle istituzioni crolla”.
Una rivoluzione che offre non pochi vantaggi. “C’è molta più libertà e produrre è meno costoso – prosegue Bell -. Assistiamo alla democratizzazione del processo informativo, con l’abbassamento delle barriere all’entrata e la possibilità di creare notizie ovunque e di sottoporle al dibattito, connettendo il mondo con molta più velocita”. Ma ci sono anche sfide da affrontare.
“I giornalisti – spiega – hanno più responsabilità perché non hanno più un sistema attorno che controlli il loro lavoro e devono creare valore aggiunto.
Raccontare non è più sufficiente, ora lo fanno anche i componenti delle comunità. Il professionista deve essere fortemente specializzato, in termini geografici, di tematiche o dal punto di vista tecnico”.
La sfida principale è capire come generare ricavi. “L’unico modo per uscire dalla crisi è creare qualcosa di nuovo – avverte Bell – ed è difficile farlo all’interno delle aziende. Puoi riuscire a proteggere il tuo business e mantenere gli attuali costi del lavoro a breve termine, ma non credo che questo sia sostenibile a lungo termine. Bisogna capire che tutto sta cambiando. C’è gente che ha raccontato l’attentato di Boston dalla finestra della sua stanza da letto con un tweet”.
“La carta morirà, senza dubbio. Sta già succedendo – aggiunge -. Negli Usa il principale giornale di New Orleans, The Times-Picayune, ha deciso di interrompere l’uscita quotidiana e questo succederà ovunque. La carta non è sostenibile e la gente non la compra più. I media non sono il riflesso di quello che vogliono le aziende, ma di come la gente vuole impiegare il proprio tempo. E la gente non vuole più la carta”. Anche far pagare l’accesso ai siti web potrebbe rivelarsi controproducente. “Ogni azienda attua politiche di difesa del copyright a proprio rischio – sostiene -. Una difesa rigorosa del copyright può generare un comportamento analogo da parte degli altri media. Per ogni testo, foto o video pubblicato potrebbe essere richiesto un compenso”.
Emily Bell ha anche parole dure sull’Italia. “Gli avvenimenti degli ultimi anni del governo Berlusconi sono la dimostrazione scioccante di quello che succede in un contesto mediatico caratterizzato da concentrazione e assenza di pluralismo – afferma -. Alla popolazione mancano notizie fondamentali per decidere come vivere e chi votare. All’estero genera sorpresa il fatto che questo possa succedere in una democrazia dell’Europa Occidentale”.