CDA RCS, SÌ A RICAPITALIZZAZIONE E RIFINANZIAMENTO DEBITO. 2012 CHIUSO A -509 MILIONI. ANCORA INCOGNITE SU PERIODICI E CORSERA

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Il cda di Rcs Mediagroup ha approvato la ricapitalizzazione da 600 milioni, la rimodulazione di 575 milioni di debiti bancari e il bilancio del 2012. Parteciperanno all’aumento sette soci del patto. Restano fuori Generali e Merloni. Ancora indecisi Sinpar ed Eridano. In “stand by” anche Giuseppe Rotelli e Diego Della Valle (entrambi quasi fuori dal patto). Per sciogliere gli ultimi dubbi sarà importante il valore delle azioni per la ricapitalizzazione. Per le quote inoptate c’è una triplice garanzia: i soci stessi, le banche creditrici e un consorzio di garanzia. Ieri è stata assicurata anche la rinegoziazione del debito. Intanto numeri del bilancio 2012 sono negativi: 509 milioni di perdite, calo delle pubblicità. Bene, invece, il digitale che cresce del 7,6%. Ancora da definire, infine, la vendita o l’eventuale chiusura dei dieci periodici e gli esuberi del Corriere della sera.
Ma procediamo con ordine.
Al Cda di ieri erano assenti Giuseppe Rotelli, vicepresidente del consiglio, e Carlo Pesenti, proprietario di Italmobilare. Il consigliere Andrea Bonomi è uscito subito per motivi legati al conflitto di interessi: è anche presidente del consiglio di gestione di Bpm, che è una banca creditrice nei confronti di Rcs. Non ha partecipato all’intera riunione, che è durata ben cinque ore, anche Paolo Merloni che si è dimesso per contrasti col cda. Motivo? La ricapitalizzazione sarebbe apparsa, a suo giudizio, troppo punitiva per i soci e vantaggiosa per le banche.
Il prossimo cda è previsto per il 28 marzo. In tale data si convocherà l’assemblea dei soci di fine maggio.
Per quanto riguarda l’aumento di capitale (diviso in due parti: la prima di 400 milioni da effettuare entro luglio; la seconda, di 200, prevista a fine 2015) non ci sono state sorprese. In effetti le adesioni ufficiali dei soci erano pervenute al presidente di Rcs, Angelo Provasoli, già venerdì scorso. Per ora la ricapitalizzazione è coperta al 44%. Aderiranno all’investimento sette soci interni al patto di sindacato (che vincola il 58% delle azioni). Parliamo di Mediobanca, Fiat, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Edison, Mittel, Fonsai. Non parteciperanno Assicurazioni Generali (5,4%) e Merloni (2%). Questi ultimi avevano già palesato perplessità sulla ricapitalizzazione. Restano ancora indecisi Sinpar (2%), Eridano Finanziaria (1,2%) e Italmobiliare (7,4%). Il quale starebbe valutando la possibilità di ricapitalizzare solo la metà delle sue quote.
Dunque si arriverebbe ad un 44% del capitale già assicurato per l’aumento.
Passiamo ora agli azionisti rimasti fuori dal patto. I quali possiedono in totale il 30% delle quote. Questa parte della società resta, al momento, scoperta. I Benetton (5%) hanno, da tempo, rinunciato all’investimento. Giuseppe Rotelli (16%) e Diego Della Valle (8,6%) sono ancora indecisi. Entrambi sono perplessi sulla ristrutturazione editoriale e finanziaria di Rcs. E Della Valle, ieri, tramite una lettera, ha comunicato al cda i suoi dubbi, legati anche a potenziali conflitti di interessi tra soci e creditori.
Ad ogni modo la ricapitalizzazione si dà per certa. Le azioni inoptate (ovvero le quote che non saranno ricapitalizzate dai soci) verranno rilevate dagli altri soci, dalle banche esposte ed, eventualmente, da un consorzio di garanzia guidato dall’advisor di Rcs, CreditSuisse. Ma su questo punto è d’obbligo una riflessione più approfondita.
Per quanto riguarda le azioni inoptate interne al patto (il 14%) dovrebbero essere assorbite dagli stessi soci pattisti. Per gli altri titoli non sottoscritti fuori dal patto (il 30%) ci sono le banche creditrici pro quota in base alla loro esposizione. Bisogna dire che Rcs è esposta (ovvero in debito) con sei banche: Mediobanca, Intesa (entrambe anche socie della società), Unicredit, Ubi, Bpm, Bnl. Questi istituti si impegnerebbero (non è ancora certo per tutti) a sottoscrivere le azioni inoptate in proporzione alla loro esposizione nei confronti di Rcs.
Inoltre, se dovesse esserci qualche defezione, ci sarebbe un “paracadute” costituito da un consorzio di garanzia formato da altri istituti: Banca Imi, Bnp, Mediobanca, Banca Akros, Centrobanca. Queste cinque banche assorbirebbero fino a 150-200 milioni di euro per azioni inoptate.
Un punto nodale per l’aumento di capitale è il prezzo delle “nuove” azioni. Sembra ormai certa una “diluizione” del valore delle stesse. Oggi i titoli di Rcs hanno perso il 6% e sono intorno ai 0,8 euro. Ma per la ricapitalizzazione potrebbero essere valutate 0,2 euro l’una. Questo non è un aspetto secondario, anzi. Il prezzo delle azioni potrebbe essere un fattore decisivo per incentivare gli indecisi (soprattutto Della Valle e Rotelli) a partecipare all’aumento. Infatti chi non dovesse sottoscrivere la ricapitalizzazione vedrebbe le proprie quote perdere valore. Ad esempio Rotelli passerebbe da un 16,6% ad un 4,4%. Mentre Della Valle passerebbe da 8,6% a 2,3%. Generali scenderebbe da 3,7% a 0,9%. Merloni da 2% a 0,5%. Perderebbero quindi il 73% del capitale investito in Rcs. Non è escluso, quindi, che qualche socio incerto decida di partecipare a giugno.
Un altro capitolo aperto è la rinegoziazione del debito che nel 2012 consta di circa 850 milioni. Di questi, 575 saranno riscadenzati con tre linee di credito a medio lungo termine. Come detto in precedenza, sono sei le banche che detengono questi crediti. Finora è stato siglato un accordo preliminare (un “term sheet”). Le linee di credito sono a 3 anni e a 5 anni. Per quanto riguarda quella a tre anni sarà rimborsata attraverso i proventi di eventuali cessioni di asset non fondamentali (come la società Dada). In ogni caso le trattative a riguardo sono ancora fluide. Inoltre una parte della ricapitalizzazione (si parla di 200 milioni, quindi della metà della prima tranche da 400), potrebbe essere utilizzata, da subito, per appianare una parte del debito.
Nella riunione di ieri è stato approvato anche il bilancio del 2012 (ma serve ancora la ratifica definitiva dell’assemblea dei soci). I conti della società che edita, tra l’altro, il Corriere della sera e la Gazzetta dello Sport, non sono rosei. La perdita è di 509 milioni di euro. Hanno contributo in maniera significativa la svalutazione degli asset spagnoli, oltre che il calo delle vendite e della pubblicità (anche se, sia il Corsera che la Gazzetta hanno avuto, nel 2012 e nell’inizio del 2013, delle ottime prestazioni diffusionali). Per quanto riguarda i ricavi globali del gruppo, questi sono scesi a 1,6 miliardi (239 milioni in meno rispetto al 2011). Vanno bene le attività digitali. La parte dei ricavi relativa al web è del 9%. La pubblicità online è aumentata del 7,6% rispetto al 2011. Ed è arrivata al 17,7% di quella totale.
Per il 2013 la continuità aziendale è garantita, essendo garantite la ricapitalizzazione e la rimodulazione del debito. Tuttavia le prospettive non sono delle migliori. Non possono escludersi scenari critici per la società. Tra questi la chiusura o cessione di dieci periodici (anche di questo si è parlato ieri). Anche se i comitati di redazione si oppongono. «Chiudendo i periodici si impoverirebbe l’azienda e si brucerebbe una parte della ricapitalizzazione», hanno dichiarato i sindacati interni. I quali hanno evidenziato che una cessione ben fatta farebbe guadagnare a Rcs decine di milioni di euro.
Ancora da valutare, infine, il piano di Pietro Scott Jovane, ad di Rcs, che prevede 110 esuberi in tre anni per il Corriere della sera, e un taglio di 800 dipendenti in tutto il gruppo. Sembra tramontata l’ipotesi della vendita dello stabile milanese di via Solferino, sede storica del Corsera. Rimangono ancora in bilico i 10 periodici che rischiano, nel caso in cui non si riesca a venderli, la chiusura. Quindi nonostante gli “sforzi” degli azionisti il futuro di Rcs è ancora ricco di incognite.

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