Liberi i quattro giornalisti italiani trattenuti in Siria

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I quattro giornalisti italiani trattenuti nel nord della Siria dal 4 aprile scorso sono stati liberati. E in tarda serata potranno già rientrare a casa. Lo ha comunicato il ministro degli Esteri ad interim, Mario Monti. “Desidero ringraziare – ha affermato il premier – l’unità di crisi della Farnesina e tutte le strutture dello Stato che con impegno e professionalità hanno reso possibile l’esito positivo di questa vicenda, complicata dalla particolare pericolosità del contesto”.

Il presidente Monti, che ha seguito il caso sin dall’inizio, ha manifestato anche la sua “gratitudine agli organi d’informazione che hanno responsabilmente aderito alla richiesta di attenersi ad una condotta di riserbo, favorendo così la soluzione della vicenda”.
“Siamo molto felici per come si sia conclusa la vicenda. Ringrazio il Governo italiano e in particolare l’Unità di Crisi della Farnesina per il grandissimo lavoro svolto” ha sottolineato, dal canto suo, un visibilmente soddisfatto Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai.
“Voglio inoltre ringraziare i giornalisti dei telegiornali, delle radio, della carta stampata e del web che hanno accolto e aderito al nostro invito a rispettare il silenzio stampa – ha concluso Gubitosi – funzionale alle trattative che hanno portato al rilascio dei nostri colleghi”.
I giornalisti tornati in libertà sono Amedeo Ricucci, inviato della Rai, i freelance Elio Colavolpe (fotoreporter) e Andrea Vignali (documentarista), e l’italo-siriana Susan Dabbous. I quattro erano stati fermati mentre effettuavano riprese per un reportage, da militanti della fazione islamica radicale Jabhat Al Nusra, considerata una propaggine di al Qaeda nella resistenza contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad. Gli attivisti locali avevano precisato che i quattro non erano stati rapiti ma trattenuti in attesa di informazioni sul loro conto. Da quel momento è iniziata la trattativa della Farnesina, per la quale è stato chiesto il silenzio stampa.

Il caso dei nostri connazionali “fermati” in Siria dimostra l’alta pericolosità del paese mediorientale per quanto concerne il lavoro dei media sul campo. Le cifre, d’altronde, parlano chiaro. Ben 36 giornalisti stranieri e siriani sono stati uccisi negli ultimi due anni di violenze in Siria e numerosi altri sono rimasti feriti o sequestrati dalle milizie fedeli al presidente Bashar al Assad o da gruppi che dicono di appartenere al fronte dei ribelli anti-regime. Numeri, questi, che rendono attualmente la Siria il Paese più pericoloso per i reporter, secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti basato a New York. La maggior parte dei rapimenti e delle uccisioni è avvenuta nella parte nord-occidentale al confine con la provincia turca dell’Hatay, nelle regioni di Idlib, Aleppo e nella zona montagnosa di Latakia, proprio dove un gruppo di fondamentalisti ha catturato giovedì scorso i quattro giornalisti italiani rilasciati oggi.
L’ultimo reporter a esser stato ferito è Joerg Armbuster, corrispondente della tv di Stato tedesca Ard, colpito da spari di arma da fuoco ad Aleppo lo scorso 29 marzo e poi rimpatriato in Germania. Meno fortunati sono stati diversi altri giornalisti stranieri colpiti a morte in circostanze che difficilmente saranno chiarite in futuro.
Si sono perse invece le tracce di due giornalisti freelance americani: Austin Tice e James Foley. Il primo, scomparso il 13 agosto 2012, secondo il Dipartimento di Stato Usa è probabilmente finito in mano a milizie lealiste anche se appare in un video amatoriale (la cui autenticità è fortemente contestata dagli esperti) nel quale viene mostrato prigioniero di sedicenti fondamentalisti islamici. Tice, 31 anni, lavorava per il gruppo editoriale McClatchy e il Washington Post ed è stato avvistato l’ultima volta tra Homs e Damasco.
Foley, 39 anni, è scomparso invece nella regione di Idlib, nei pressi di Taftanaz, lo scorso 22 novembre. Collaborava con l’agenzia France Presse. Di lui non si hanno notizie e si teme che sia stato ucciso.
Nei giorni scorsi scalpore aveva destato la diffusione da parte della tv di Stato siriana di un appello rivolto da un uomo d’affari siriano residente in Kuwait, Fahim Saqr, che aveva offerto circa 95mila dollari a chiunque consegni ai servizi di sicurezza del regime giornalisti delle tv panarabe al Jazira e al Arabiya, rispettivamente finanziate da Qatar e Arabia Saudita, Paesi che sostengono la rivolta anti-Assad.

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