SÌ AL PRODUCT PLACEMENT, QUESTA LA DIRETTIVA CHE SCONVOLGERÀ LA TV

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Sì al product placement nei programmi televisivi. Più sostegno
e investimenti sulla produzione indipendente, ma con regole più chiare sulla
gestione dei diritti di sfruttamento delle opere prodotte. Sono questi alcuni
temi di discussione che emergono dalla direttiva «Audiovisual Media Services»,
che dal prossimo 19 dicembre 2009 andrà a sostituire completamente la vecchia
direttiva «Televisione senza frontiere» per rendere il mercato
televisivo europeo più competitivo nei confronti dei principali operatori
mondiali.

 

La legge comunitaria di quest’anno ha previsto il recepimento della
direttiva, ma in Italia il dibattito è ancora inesistente. Di questo si è
discusso ieri a Roma durante un convegno organizzato in occasione del
Roma-Fiction Fest
, in collaborazione con CimsComunicazioni.

«Nel settore dell’audiovisivo», ha affermato Gianni De
Michelis, relatore al Parlamento europeo
della direttiva, «l’Italia
in questi anni è andata con il passo del gambero. Il rischio è che tra pochi
anni l’industria statunitense, cinese ed indiana invaderanno l’Europa anche in
questo settore. La direttiva in parte è incompleta, ma si completerà con le
regole che dovranno essere adottate dalle singole legislazioni dei paesi membri.
Non si tratta però di applicare regole astratte. In questo paese sono stati già
fatti troppi errori
».

L’iniziativa, denominata «i2020», voluta dalla Commissione europea distingue
prima di tutto tra audiovisivi lineari (basati su un palinsesto predefinito) e
non lineare (on demand). La direttiva prevede che i broa-dcaster debbano
destinare almeno il 10% del loro tempo di trasmissione o in alternativa il 10%
dei loro budget, alle produzioni europee.

Per quanto attiene la pubblicità viene abolito il limite giornaliero
del 20% e viene inserito un limite orario del 20% per spot pubblicitari e
televendite
. Punto importante, molto atteso dai produttori e dagli
investitori, è quello che riconosce ai prodotti televisivi la possibilità di
avvalersi del product placement (cosa attualmente prevista in Italia solo per il
cinema).

«Su questa nuova direttiva», ha esordito il commissario
dell’Agcom, Stefano Mannoni
, «in Italia è calato il silenzio
assoluto. Noi ci troviamo davanti a più piattaforme in competizione tra loro per
la conquista dello stesso pubblico. Il product placement, per esempio, deve
avere la massima espansione possibile. C’è poi la valorizzazione della
autoregolamentazione della coregolamentazione, che lascia intravedere vantaggi
straordinari».

Per il direttore delle relazioni istituzionali Italia di Mediaset e
presidente di DGTVi, Andrea Ambrogetti, «la direttiva
introduce una visione diversa. Tra produttori e broadcaster si faccia
unconfronto serio e una selezione di temi, come il produci placement, cne
possono essere gestiti insieme. E giunto anche il momento di creare, insieme
anche alla Rai e gli altri player dell’industria dell’audiovisivo, una società
che rappresenti in Europa e all’estero il prodotto italiano».

Sull’affollamento pubblicitario il responsabile regolamentazione di
Telecom Italia Media, Piero De Chiara
sostiene che bisogna «sfruttare
l’occasione che la direttiva offre. Negli altri paesi europei ci sono almeno due
privati profittevoli. In Italia, invece, la legge attuale non ha consentito la
possibilità di business da parte di un secondo privato». De Chiara, quindi,
auspica l’ingresso del product placement nella programmazione televisiva, che «è
anche un’ottima forma di difesa per i prodotti italiani».

Per Pierluigi Malesani, presidente della Newco Rai International,
«la direttiva è un’opportunità anche per il servizio pubblico, anche se il
tema delle risorse è fondamentale, e per la Rai vuol dire lotta all’evasione dal
pagamento del canone
». Allarme invece dai produttori indipendenti: sia
Roberto Levi, vicepresidente del Cepi, che Enrico Fabrizi, dell’Apt, due delle
associazioni di categoria, deve essere rimesso in discussione il meccanismo con
il quale i broadcaster oggi gestiscono la partita dei diritti di sfruttamento
delle nuove produzioni, che rischia di danneggiare l’Italia sul mercato Ue e
mondiale.

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