Giornalismo d’inchiesta: Gabanelli assolta in Cassazione. Ma sulle “querele intimidatorie” si scatena il dibattito

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Assoluzione confermata. Anche nel cosiddetto terzo grado di giudizio. E’ notizia dei giorni scorsi che la sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9337 del 27/2/2013, ha confermato l’assoluzione della giornalista Milena Gabanelli, per un’inchiesta trasmessa dal programma Report sulle sofisticazioni dell’olio d’oliva. Secondo la Suprema Corte: “il risvolto del diritto all’espressione del pensiero del giornalista costituito al diritto della collettività ad essere informate non solo sulle notizie di cronaca, ma anche sui temi sociali di particolare rilievo attinenti alla libertà, alla sicurezza, alla salute e agli altri diritti di interesse generale”, deve essere “operativo in concreto”. Operativo evidentemente, “alla condizione che, il sospetto e la denuncia siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti”.

Difatti, fa rilevare ancora la Cassazione, “nel giornalismo d’inchiesta il sospetto che non sia meramente congetturale o peggio ancora calunniatorio”, deve “mantenere il proprio carattere propulsivo e induttivo di approfondimenti, essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero”.
La Cassazione ha riconosciuto alla Corte d’Appello di aver “evidenziato correttamente come il giornalismo di denuncia è tutelato dal principio costituzionale in materia di diritto alla libera manifestazione del pensiero, quando indichi motivatamente e argomentatamente un sospetto di illeciti, con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi normativi per poter essere chiarite”.

In estrema sintesi: la Gabanelli (e quindi Report) non ha diffamato proprio nessuno.

La notizia dell’assoluzione della giornalista di Rai Tre cade a pochi giorni da una nuova querela mossa nei suoi confronti (con relativo coinvolgimento della Tv di Stato), questa volta da parte dell’Eni. Lo scorso mercoledì 3 aprile, infatti, l’azienda (sesto gruppo petrolifero mondiale per giro di affari), con un atto di ben 145 pagine, ha accusato Report di averne leso l’immagine, avanzando una richiesta di risarcimento alla Rai di 25 milioni di euro.

Sul banco degli imputati è finito un servizio dal titolo “Ritardi con Eni”, lanciato lo scorso 16 dicembre proprio dalla Gabanelli, per fare chiarezza sull’attività del gruppo produttore di energia.

L’esosità della richiesta dell’Eni riapre, in maniera decisa, il dibattito sulle cosiddette “querele intimidatorie”, un termine ben spiegato da Stefano Corradino, lo scorso 3 aprile, su Il Fatto Quotidiano.
“Chi si sente diffamato – scrive, infatti, il giornalista – ha tutto il diritto di tutelarsi ma è piuttosto evidente che una cifra di queste proporzioni si configura come un palese tentativo di intimidazione. Una minaccia non pronunciata ma che di fatto suona così: la prossima volta ci penserai bene prima di occuparti di noi”.

“Non si tratta di un tentativo di intimidazione, ma di un’azione attraverso la quale esercitiamo il diritto/dovere di difendere il lavoro di migliaia di persone” ha replicato, prontamente Gianni Di Giovanni, executive vice president external communication di Eni. Una cosa, infatti “è il sacrosanto diritto di critica, altra è lo stravolgimento delle informazioni. Riteniamo che libertà di informazione significhi anche offrire una vera opportunità di replica” ha aggiunto Di Giovanni puntando il dito su un servizio, quello trasmesso a dicembre da Report: “interamente costruito su una serie di affermazioni e illazioni tese a dare un’immagine apparentemente verosimile e solo negativa della società, alla quale è stato tra l’altro precluso un normale contraddittorio”.
Sarà, ma come non storcere il muso di fronte a richieste così esose e spropositate, pur riconoscendo, a chi si sente offeso, il sacrosanto diritto di difendersi nelle sedi giudiziarie? Va chiarito, comunque, come la Gabanelli abbia vinto, finora, buona parte delle cause a cui è stata sottoposta. E che sicuramente, anche in questo caso, la giornalista Rai non arretrerà di un passo e non chiederà nemmeno all’Eni di ritirare la querela per dimostrare, come ha fatto in ogni circostanza, la veridicità delle sue inchieste. Ma è evidente come in circostanze del genere, in fatto, cioè di “maxi-querele” milionarie (ed oggettivamente insostenibili), l’argomento meriti e richieda un approfondimento nelle sedi opportune, che non possono più essere limitate all’Ordine dei Giornalisti od alle sole rappresentanze sindacali di categoria. Per la verità, su questa stessa materia il Parlamento, nella trascorsa legislatura, aveva avviato un lavoro bipartisan. Un iter che, per il momento, giace ancora nei cassetti delle Camere. E che si spera, qualcuno, tra Palazzo Madama e Montecitorio, vorrà prima o poi riprendere.

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