Non solo controllo delle email, dell’uso del computer aziendale, della messaggistica e dei «tweet»: in molte imprese americane è sempre più diffusa l’abitudine di analizzare anche il comportamento fisico dei dipendenti. Compresi gli spostamenti dentro e fuori l’azienda, quando sono in servizio. Gli strumenti, con lo sviluppo delle tecnologie digitali, sono, ormai, i più disparati. Se, fino a qualche anno fa, ci si limitava a controllare l’attività sul web e gli spostamenti di chi aveva un cellulare col gps in tasca, adesso con sensori e telecamere sempre più minuscoli e di costo irrisorio si può fare di tutto: dagli Rfid, sentinelle in miniatura, sparpagliati su scrivanie e scaffali che registrano anche i movimenti in una stanza, ai badge con microchip incorporato che misurano perfino la durata delle soste in bagno. Uso il termine analizzare e non sorvegliare perché, almeno nelle intenzioni annunciate, queste tecnologie dovrebbero essere utilizzate dai datori di lavoro non per controllare i singoli, ma per studiare i comportamenti collettivi dei dipendenti. Cercando, poi, i modi di incentivare quelli che migliorano la produttività del lavoro. E se vieni licenziato perché i tuoi dati personali sono mediocri? Probabilmente non lo scoprirai mai.
Alla fine del 2012 ha suscitato grande interesse tra i manager americani un articolo della Harvard Business Review che annunciava l’avvento di «Big Data: the Management Revolution» e un convegno organizzato negli stessi giorni dal Massachusetts Institute of Technology nel quale alcuni docenti di computer science hanno sostenuto che i nuovi strumenti della tecnologia digitale e i software sempre più evoluti sono destinati a cambiare il modo in cui l’attività degli uomini e il funzionamento delle macchine vengono misurati dalle imprese. Aprendo la strada a un vero cambio di paradigma nelle tecniche di gestione aziendale: manager sempre più focalizzati sul pensiero analitico, sulla valutazione di dati di qualunque tipo, rispetto a quello deduttivo, basato sull’intuizione. Dirigenti che usano numeri e sensori non solo per decidere cosa far fare ai loro dipendenti, ma anche per guidare i loro comportamenti e i loro spostamenti in azienda.
Giorni fa, ad esempio, il Wall Street Journal ha raccontato di alcune società che stanno usando in via sperimentale sensori e nuovi software di controllo. Una volta compreso che i dipendenti più produttivi sono quelli che interagiscono maggiormente con gli altri e verificato che negli intervalli del pranzo molti restavano in ufficio a consultare le email o consumavano il pasto conversando con un solo collega, queste aziende si sono sforzate di rendere più attraenti le mense e anche di favorire i contatti interpersonali. Come? Ad esempio sostituendo i tavoli da quattro con altri, più grandi, ai quali possono sedersi anche 16 persone. O riducendo volutamente i punti di rifornimento delle bibite per creare, con le file, altre occasioni d’incontro. E anche il «coffee break» supplementare delle 3 del pomeriggio è stato introdotto con lo stesso obiettivo.
Ovviamente tutto questo rende piuttosto esile il confine tra «Big Data» e «Big Brother», il «grande fratello». E la fissazione maniacale per i dati analitici, la diffusione di sensori ovunque, l’occhio fisso sul dipendente ogni momento del giorno, possono sfociare facilmente nell’inquietante o nel grottesco: una specie di «Tempi moderni» di Charlie Chaplin in versione XXI secolo. Ma, almeno negli Usa, questo tipo di sorveglianza è legale se esercitata sugli strumenti e nel perimetro aziendale. E questo spiega meglio anche perché Marissa Mayer, il capo di Yahoo!, ha deciso di far tornare in azienda i dipendenti che lavorano da casa. Da madre, spiegano in azienda, comprende i problemi della gente, ma da manager si è accorta che chi è lontano interagisce poco col suo ufficio. Era stata creata anche un’apposita rete Vpn, ma Marissa si è accorta che è poco usata. E ha cancellato il telelavoro con un tratto di penna.
Difficile distinguere tra aspetti utili e agghiaccianti di questa ubiquità dei controlli: in molti luoghi di lavoro i dipendenti già hanno cambiato il modo di muoversi e di esprimersi, sentendosi spiati. Ma la tendenza è destinata a diffondersi comunque, per almeno due ordini di ragioni: la necessità delle aziende di ristrutturarsi recuperando efficienza e l’enorme disponibilità di dati a costi irrisori. Per sorvegliare non c’è più bisogno di assumere un investigatore privato: basta affondare le mani in Big Data e disseminare gli uffici di sensori e telecamere che costano qualche spicciolo. Al resto pensa il software.