Nuovo sistema di avvisi negli Stati Uniti per limitare il fenomeno della pirateria

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Sei colpi e sei fuori. È entrato in vigore negli Stati Uniti il sistema di deterrenza antipirateria chiamato Copyright Alert System ma meglio noto come “six strikes”. Il sistema prevede infatti un’azione graduata in sei passi per contrastare la condivisione illegittima di file protetti da diritto d’autore. Dopo due rinvii, il primo a luglio e il secondo a novembre, è stato attivato il metodo elaborato insieme ai rappresentanti degli autori e gli internet service provider. Chi tutela i diritti degli autori, ovvero le principali major di musica e cinema, potrà monitorare l’attività online sulle piattaforma di file-sharing e, in caso sorprendano gli utenti a scambiarsi file d’autore senza averne il diritto, lo segnalano al fornitore di connettività. Questi mette in atto una risposta graduale per dissuadere dall’attività illecita. Le prime quattro risposte hanno forma di avvisi: il primo per rendere noto all’utente che sta scambiando file pirata; il secondo ribadisce il concetto e il terzo giunge allegato a una richiesta di conferma di avvenuta ricezione dell’avviso. Poi si passa a un altro livello. A discrezione dell’Isp la velocità di connessione può venire rallentata e poi la navigazione può essere reindirizzata a una pagina imposta (fino a quando l’utente non si mette in contatto con l’Isp per chiarire la propria attività online) o a un corso rieducativo online, forzato, su cosa si può e non si può fare via Internet. Oltre il sesto avviso non si sa ancora bene cosa succederà. Gli avvisi e gli interventi dell’Isp dovrebbero cessare e la vertenza passare al vaglio di un tribunale. Ma il Copyright Alert System non è una legge di stato, solo un accordo tra gruppi industriali con il beneplacito dell’amministrazione Obama. I difensori dei diritti degli utenti, come la EFF, reagiscono all’introduzione del metodo con le stesse argomentazioni usate durante il dibattito avvenuto in occasione della sua stesura. A spaventare è l’intrusione violenta del fornitore di connettività nella vita dell’utente e sul monitoraggio e l’avvio della procedura di alert a opera dell’industria dell’intrattenimento. Critiche anche al software di monitoraggio la cui discrezione nell’identificazione dei contenuti è stata garantita da un ex-lobbista dell’industria musicale – di per sé non un reato – e soprattutto non ne sono stati svelati i principi di funzionamento. Preoccupazioni anche per il WiFi aperto, che rischia di venire chiuso dal timore di vedersi recapitare avvisi per attività svolte non dall’intestatario dell’abbonamento di connessione, ma da terzi, ignoti. Ci sono ovviamente garanzie per i ricorsi degli utenti ma il controllo dell’attività del proprio hotspot WiFi costa 35 dollari ed è a carico del sospettato. Plausi invece dai rappresentanti dell’industria dell’entertainment, convinti che i positivi risultati registrati dall’ultimo, recentissimo, report annuale sulla musica digitale sia dovuto in parte anche all’adozione di sistemi come quello all’esordio negli Usa (e in parte alla chiusura di molte piattaforme di condivisioni come MegaUpload, ora risorto). Mentre le vendite del settore tornano finalmente a crescere, la condivisione sulle piattaforme di file-sharing è calata nel 2012 del 26 per cento. Nel resto del mondo sono già quattro i Paesi che hanno una legge analoga: oltre alla Francia capostipite con la legge Hadopi, anche Nuova Zelanda, Gran Bretagna e Corea del Sud hanno un metodo di risposta graduale. Negli Usa, a differenza delle nazioni suddette, il sistema non è una legge ma un accordo tra industria musicale e fornitori di connettività. I cinque fornitori principali però hanno tutti aderito, quindi per gli utenti non cambia molto. Almeno fino a che non si arriva in tribunale.(Corriere.it)

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