IN ITALIA SI ASPETTA LA GARA PER LE FREQUENZE DEL DIGITALE TERRESTRE. MENTRE IN GERMANIA SI PASSA AL SATELLITE

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Il Ministero dello Sviluppo economico e l’Agcom attendono il parere dell’Unione europea per il regolamento dell’asta per le frequenze. I multiplex da vendere sono stati dimezzati, da 6 a 3, per risolvere le interferenze e per dare spazio alla banda larga mobile (Lte). Intanto arriva da una società lussemburghese la proposta di passare al satellite: costa meno e permette l’alta definizione.
Ma procediamo per ordine.
Corrado Passera, (ex) ministro dello Sviluppo economico, ha dichiarato che gran pare del lavoro per la definizione del bando di gara per l’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre è stato fatto.
«Attendiamo il via libera dall’Unione europea. In seguito il Mse potrà bandire l’asta», ha affermato l’ex dirigente delle Poste italiane.
Ma facciamo un passo indietro. L’assegnazione delle frequenze del dividendo digitale è un problema spinoso. Se ne parla da oltre un anno. E cerchiamo di riassumere in breve la genesi della questione.
Nel 2011 il governo guidato da Silvio Berlusconi avrebbe voluto regalare le frequenze. Si pensò, infatti, ad una gara non competitiva. La quale fu soprannominata “beauty contest”. E, stando al bando di gara, i multiplex venivano assegnati, per la maggior parte, agli operatori di rete già esistenti sul mercato. Il tutto contraddicendo l’intento originario della suddetta asta: aumentare la concorrenza e favorire l’ingresso dei nuovi entranti.
Poi Berlusconi si dimise (o meglio “decise di fare un passo indietro”). La crisi internazionale e l’impennata dello spread costringevano l’Italia ad una svolta. E, a fine 2011, arrivò il governo tecnico guidato da Mario Monti.
E l’asta cambiò i connotati. Il nuovo esecutivo decise di non regalare il diritto d’uso delle frequenze (che ricordiamo sono un bene pubblico, scarso e prezioso). Così nel 2012 Monti e Passera decisero di programmare un’asta vera, competitiva. E l’Agcom iniziò i lavori per il nuovo bando.
E il 17 dicembre del 2012 l’Autorità ha approvato una bozza preliminare. La quale è stata mandata a Bruxelles per un parere finale. E la commissione Ue per la concorrenza, guidata da Joaquin Almunia, sta studiando il dossier.
Quindi l’iter delle frequenze del dividendo digitale dovrebbe essere quasi finito.
Tuttavia dal 2011 ad oggi sono cambiate molte cose. Il governo Monti e la nuova Agcom (ricordiamo che l’Autorità è stata “rinnovata” nell’estate nel 2012) hanno deciso di ridurre i multiplex da vendere. Anzi saranno dimezzati: da 6 a 3 (che comunque consentirebbero un potenziale ingresso di 24 canali tv nuovi). Verranno risparmiati i lotti U1, U2 e U3. Quelle con il diritto d’uso quinquennale. Il tutto per risolvere problemi tecnici e per dare un margine di sviluppo alle banda larga mobile (Lte) per la telefonia. E i 3 mux che saranno messi sul mercato occupano una parte più “tranquilla” dello spettro. E avranno una licenza ventennale.
Ed è stata proprio l’Agcom, presieduta da Angelo Marcello Cardani (nominato da Monti) a precisarlo: «Stiamo risolvendo le criticità esistenti in un ottica di sviluppo del settore delle telecomunicazioni. Ci sono degli approfondimenti tecnici da fare. Vogliamo favorire la concorrenza tra i nuovi entranti e i soggetti già esistenti. Dobbiamo correggere le interferenze e le distorsioni del sistema per migliorare la copertura delle emittenti e per dare spazio allo sviluppo del Lte».
In effetti l’attuale sistema ha delle pecche. I segnali di Rai, Mediaset e Timedia interferiscono con gli stati vicini. Infatti le onde quando raggiungono la Sicilia “invadono” Malta; per coprire l’Adriatico “sforano” nei territori balcanici; non è immune nemmeno la Francia, soprattutto per la vicinanza della Corsica. Di conseguenze sono arrivate delle contestazioni all’Agcom e anche all’Ue da parte dei Paesi “invasi”.
Inoltre non bisogna sottovalutare neanche le interferenze anche tra le emittenti regionali.
Ma non finisce qui. Considerato il prossimo sviluppo della Lte, ci sono alti rischi di sovrapposizioni tra il segnale tv e quello della telefonia. Facciamo un esempio concreto. Timedia occupa la frequenza numero 60. E sulla 61 è già pronta la Wind per la sua banda larga mobile. E il rischio di disturbi tra televisioni e cellulari è alto. Quindi le frequenze che vanno dalla 57 alla 60 saranno sottratte all’asta.
Ma c’è anche un altro problema. Anche le frequenze “tranquille” che saranno vendute hanno dei problemi: non hanno una copertura ottimale. Quindi saranno perfezionate e “reimpacchettate” aggiungendone altre di pregio, ma tutte entro la numero 49.
Mentre in Italia si pensa al digitale, è arrivata, di recente, l’offerta di passare al satellite. Protagonista la lussemburghese Ses (Società europea dei satelliti). «Abbiamo avviato dei contatti con Rai e Mediaset per sondare la loro disponibilità a passare i loro canali dal digitale terrestre al satellite», ha dichiarato Ferdinand Kayser, manager commerciale della Ses.
Ma per quali motivi le emittenti italiane dovrebbero accettare questo nuovo “switch off”? Le ragioni sarebbero, secondo Kayser, due: la possibilità di sviluppare l’asta definizione, troppo “mortificata” dal digitale; e poi il risparmio sui costi di gestione che arriverebbero ad un settimo di quelli attuali.
La Germania l’ha già fatto. L’emittente Rtl, qualche settimana fa, ha deciso di restituire le frequenze digitali per passare, entro il 2014, al satellite. Sarà una meteora o il pioniere di una nuova frontiera dei media?

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