GRUPPO DEL NYT VENDE IL BOSTON GLOBE. RCS VALUTA PIANO PER RESISTERE. INTENTO “PICCOLI PROGETTI” CRESCONO

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La New York Company vende il Boston Globe: vendite e pubblicità in ribasso. Per la dirigenza meglio concentrasi solo sul Times. Vertici Rcs a lavoro per una ristrutturazione della società: 110 esuberi da gestire, 400 milioni di ricapitalizzazione, crediti da ritrattare, discutere sulla sede di Via Solferino. I cdr e i sindacati: «Vogliamo un piano industriale ed editoriale. Si taglino solo gli sprechi. I soci non sono esenti da colpe». Giovedì 28 è previsto l’incontro tra sindacati e dirigenti. Il primo marzo il cda di Rcs. Intanto a Roma la scuola di giornalismo della Luiss fa esperimenti formativi.
Il mondo dell’editoria è difficoltà. La crisi economica sottrae pubblicità, linfa vitale per i giornali. Di conseguenza le società editrici sono costrette ad adattarsi. Questo vale sia in Italia che nel resto del mondo. Emblematici i casi del Boston Globe e di Rcs.
Andiamo con ordine e partiamo da “oltre oceano”.
La New York Times Company ha deciso di vendere il Boston Globe: il secondo giornale più prestigioso del gruppo dopo il New York Times (Nyt). E su questo che la società editrice concentrerà tutte le sue risorse. Infatti il Times è uno dei pochi giornali i cui maggiori ricavi sono dati dalla vendite in edicola e dagli abbonamenti, invece che dalla pubblicità.
Non è lo stesso per il Globe. Non sono bastati una storia prestigiosa e la vincita di oltre 20 premi Pulitzer. I conti che “non tornano” sono molto più influenti. Ecco che è la direzione ha deciso di dismettere la testata di Boston, dopo circa 20 anni di “convivenza” societaria.
Infatti il Globe fu acquistato nel 1993. Allora la crisi era ancora lontana. Né tantomeno se ne avvertiva l’inizio. Il prezzo fu di 1,1 miliardi di dollari. Mentre oggi, complice il calo delle vendite, degli abbonamenti e della pubblicità, la Nyt Company potrebbe stappare un prezzo di 150-175 milioni di dollari: circa un decimo del costo “originario”.
Tuttavia la politica di Mark Thompson, presidente e ad del gruppo, non è quella di svendere. Ma di riuscire a “strappare” una buona offerta. Ma l’unica pervenuta finora sarebbe stata quella di Stephen E. Taylor, appartenente alla stessa famiglia che, nel 1993, aveva venduta il Boston alla Nyt Company. La quale difficilmente riuscirà a fare un affare. Infatti i dati del giornale di Boston parlano chiaro: nell’ultimo anno le vendite sono calate dell’1,7%; e la pubblicità del 7,8%.
Passiamo ora all’Italia.
Rcs, uno dei principali gruppi editoriali italiani, sta affrontando, ormai da mesi, una situazione difficile. Si parla di centinaia di esuberi, di vendita dello stabile di Via Solferino, sede storica del Corriere della sera (quotidiano appartenente al gruppo Rcs), di ricapitalizzazione dei soci e di rimodulazione del credito. Insomma il presidente, Angelo Provasoli, e l’ad Pietro Scott Jovene, devono risolvere molti problemi. Ma chi sta peggio sono i giornalisti del gruppo. Infatti si parla di 110 esuberi su 353 redattori. E tra questi solo 66-67 sono possono beneficiare, per limiti di età, del prepensionamento. E dire che fino a qualche mese fa erano una settantina i dipendenti “superflui”. E gestire oltre cento esuberi, tra licenziamenti e “scivoli” per la pensione non sarà facile. Infatti si parla di un piano triennale di “smaltimento” del lavoro in eccesso.
Al momento i cdr del gruppo stanno trattando con i sindacati e con la Fnsi. Ieri è avvenuto l’ultimo incontro tra i comitati di redazione e il sindacato nazionale dei giornalisti. Ecco la loro richiesta ai dirigenti di Rcs: «Vogliamo un piano industriale ed editoriale. Una indicazione chiara sulla ricapitalizzazione de soci [si parla di 400 milioni di euro, ndr]». Per i cdr i vertici del gruppo non devono «stravolgere l’assetto editoriale e distruggere il patrimonio accumulato negli anni, ma bisogna tagliare solo gli sprechi e investire nel digitale». I sindacati, inoltre, non esitano a dare le colpe ai manager del gruppo. Sott’accusa la «lauta distribuzione dei dividendi» negli anni passati e le errate politiche gestionali. Tra cui l’acquisto, giudicato fuori mercato, di Recoletos (un gruppo multimediale spagnolo che gestisce testate cartacee, radiotelevisive e digitali). Ricordiamo che il corrispettivo della transazione fu di 817,4 milioni di euro. Per i difensori dei lavoratori fu uno spreco. A proposito di sprechi, ora bisogna valutare se anche il continuare a tenere la sede storica di Viale Solferino sia uno costo superfluo.
Di tutto questo si discuterà nell’incontro del 28 febbraio. In tale data i vertici di Rcs incontreranno i rappresentanti dei lavoratori. Sarà illustrato il piano di ristrutturazione. Il quale dovrebbe essere approvato nel cda di Rcs del primo marzo. Allo stato attuale si parla di una ricapitalizzazione di 400 milione e di una rimodulazione della linea di credito da 1 miliardo.
Ma il complesso mondo dell’editoria non si limita a realtà come il Nyt e Rcs. La scuola di giornalismo della Luiss, un’università privata di Roma, ha organizzato un progetto in collaborazione con La Stampa.it. Si tratta de “Le Voci di Roma”: un sito, interamente costruito dai giovani allievi della scuola romana, che raccoglierà la Roma vista dagli occhi dei redattori del domani. «Credo molto in questo progetto [costruito sul modello già sperimentato de Le Voci di Milano, ndr]. Questi giovani saranno una risorsa per l’informazione del domani», ha dichiarato Roberto Cotroneo, direttore della scuola di giornalismo.
Il tutto senza pensare troppo ai “guai” del Boston Globe e di Rcs.

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