Come sempre più spesso accade nel mondo del Web, quella che poteva trasformarsi in una guerra all’ultimo sangue è evaporata in un tripudio di strette di mano, promesse vincolanti e milioni di euro.
Parliamo del contenzioso che per mesi ha contrapposto il governo francese di Francois Hollande e il colosso del Web Google: Hollande (su pressione degli editori francesi) aveva ventilato la possibilità di introdurre una specifica tassa sugli articoli prodotti dai media francesi che Google indicizzava nelle sue ricerche. Dopo un’iniziale tensione (Google aveva subito mostrato i denti, minacciando di eliminare i risultati relativi ai media francesi dalle proprie ricerche), il CEO di Google Eric Schmidt e il presidente francese Hollande si sono chiusi in una stanza dell’Eliseo e ne sono usciti qualche ora dopo, entrambi sorridenti.
“Oggi ho annunciato con il Presidente francese Holland due nuove iniziative per aiutare a stimolare l’innovazione e aumentare gli introiti per gli editori francesi” è stato il commento ufficiale di Eric Schmidt “Primo, Google ha acconsentito a staziare 60 milioni di euro per creare un Digital Publishing Innovation Fund volto a supportare iniziative editoriali digitali innovative. Secondo, Google consoliderà la propria partnership con gli editori francesi, aiutandoli a incrementare gli introiti online sfruttando la nostra tecnologia di advertising.”
Dopo aver letto questo comunicato, la Rete è stata subissata da centinaia di articoli, commenti e analisi che incoronavano Hollande come vincitore, una sorta di novello Davide 2.0 che per primo era riuscito a far capitolare l’onnipresente Golia (o Googolia, se preferite) con un diplomatico colpo di fionda. A irrobustire questa impressione contribuisce il fatto che la Francia è già stata in passato protagonista di simili battaglie contro Google (nel 2011 tre editori francesi avevano chiesto 10 milioni di euro a Mountain View per aver digitalizzato senza consenso libri fuori stampa) e si appresta a condurne un’altra, riguardante la tassazione dei dati personali degli utenti.
In realtà, basta leggere con attenzione i pochi dettagli noti dell’accordo, per capire che il guantone sollevato dall’arbitro è quello di Google. La tanto sbandierata “link-tax”, che nei progetti di Hollande e della sua amminstrazione avrebbe costretto Google a sborsare quattrini ogni volta che un utente avesse cliccato un link relativo a un media francese, è letteralmente scomparsa. Al suo posto ci sono 60 milioni di euro e un nuovo organo, presieduto da membri di Google, rappresentanti degli editori e del governo, che si occuperà di passare al vaglio i progetti editoriali più interessanti nell’ottica di una transizione morbida dalla stampa tradizionale a quella digitale. Per quanto molti intravedano in quei 60 milioni di euro una sorta di “compenso” per i profitti che Google ottiene indicizzando materiale editoriale francese, in realtà i fondi elargiti da Google hanno più l’aspetto di un transitorio ponte volto a rendere meno burrascoso il passaggio da un giornalismo fatto di carta stampata a un giornalismo interamente digitale.
Un giornalismo, bisogna dirlo, che sembra destinato a proliferare sotto l’ala protettrice di Google. Non è un caso che nell’accordo Google si sia proposto di “aiutare” gli editori francesi a “incrementare gli introiti online” sfruttando la tecnologia di Mountain View. Il che potrebbe tranquillamente voler dire che di qui a poco gli articoli online degli editori francesi saranno costellati di inserzioni pubblicitarie di Google. In quest’ottica, più che un Golia abbattuto, Google mostra le fattezze di un Caronte che accetta di traghettare gli editori francesi verso il proprio personale inferno.
Comunque la si voglia mettere, una cosa è certa: l’accordo Hollande-Schimdt rappresenta un precedente epocale e tutt’altro che scontato. La crisi della carta stampata è ormai entrata nel vivo e molte storiche testate faticano a trovare uno spazio sostenibile nel mare magnum della Rete. Negli Stati Uniti, grandi colossi editoriali come il New York Times sono riusciti a trovare un equilibrio istituendo dei paywall , ovvero imponendo un accesso a pagamento per i contenuti di qualità. Un approccio simile può funzionare per le testate specializzate e per quei giornali che da sempre puntano sull’eccezionalità delle proprie firme e delle proprie inchieste. Non può invece funzionare per molte testate generaliste, per le quali l’introduzione di un paywall finirebbe per dirottare i lettori verso contenuti gratuiti , seppur di qualità inferiore.
In questo scenario, l’accordo raggiunto da Hollande e Google sembra tutt’altro che risolutivo. 60 milioni di euro non bastano a mantenere in vita un’editoria boccheggiante (e comunque, non a lungo), inoltre, abbandonata l’idea della link-tax, non si intravede un progetto sostenibile che consenta di tamponare la situazione a lungo termine.
In attesa che altri paesi, come la Germania e l’Italia, facciano la propria mossa, il duello Hollande-Google passa necessariamente a una nuova fase. Due settimane fa, infatti, il Governo Hollande ha presentato a Google un rapporto in cui profila la necessità di tassare le grandi aziende del Web per l’uso che fanno dei dati personali degli utenti. La cosa verrà discussa nella cornice del prossimo G20, all’inizio di marzo. E forse già allora saremo in grado di capire chi avrà il ruolo di Davide, e chi quello di Golia.
Luana Lo Masto