Gli attivisti e i dissidenti lo sanno bene: mai scambiarsi informazioni delicate via telefono perché i controlli governativi sono serrati. Ma quanto sono sicure, invece, le conversazioni via internet?
“Molto poco” per Gregoire Pouget, esperto in sicurezza digitale e privacy, intervistato da Reporter sans Frontieres. Negli ultimi tempi infatti, soprattutto in paesi come la Russia o la Bielorussia, capita sempre più spesso di leggere di attivisti arrestati perché intercettati su Skype.
Skype è il più grande servizio di telefonia internet del mondo, utilizzato da circa 600 milioni di utenti, ma il suo punto debole, oggi, è la vulnerabilità.
A volte basta aprire una e-mail e cliccare su un link apparentemente innocuo e il gioco è fatto: il malware, ovvero un software malevolo ma molto sofisticato, si installa automaticamente nel computer del “sospettato” e da quel momento telefonate e chat possono essere registrate da terzi, spiega Pouget a RSF. Il malware traccia una linea di demarcazione tra il tempo della Primavera Araba e oggi. Durante la Primavera, infatti, i rivoltosi hanno utilizzato Internet per organizzare di nascosto proteste di massa in piazza e qual è stato l’epilogo di quelle manifestazioni lo sappiamo tutti: Ben Ali rovesciato in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto e Ali Abdullah Saleh in Yemen. Ma dopo quelle rivolte i dittatori di altri paesi hanno compreso appieno il potere di Internet e si sono regolati di conseguenza.
Il risultato è che oggi anche Skype è diventato meno sicuro, meno libero. E di questa diminuzione di sicurezza RSF, insieme ad altre organizzazioni per i diritti, ha chiesto conto al suo proprietario, Microsoft, che ha comprato Skype nel 2011 per 8,5 miliardi di dollari, in una lettera aperta inviata la settimana scorsa. Maggiori tutele per la privacy, più trasparenza sulle condizioni a cui vengono cedute le informazioni degli utenti a terzi, la pubblicazione di dossier annuali per documentare le politiche attuate, tutte informazioni fondamentali – scrivono gli attivisti nella lettera – per chi affida i propri segreti e talvolta anche la propria incolumità a Skype.
Microsoft per il momento non ha dato risposte ufficiali, intanto gli utenti aspettano e gli esperti di privacy consigliano di valutare quanto sia davvero necessario comunicare dati sensibili via Skype, che si parli o si chatti. Fino a che punto le autorità possono chiedere la cessione di dati e informazioni online è una delle questioni di attualità più controverse – spiega Sam Smith di Privacy International – e la risposta varia inevitabilmente da paese a paese.