Di seguito pubblichiamo l’editoriale scritto dal collega Fabio Bonati su Polis Quotidiano.
Quello che succede nelle redazioni dei giornali, raramente arriva ad essere raccontato. Conseguenza di una non scritta regola di pudicizia, dell’orgoglio e della vergogna alle quali nessuna categoria sfugge, ma anche per responsabilità professionale: perché le piccole meschinerie, i compromessi, gli equilibrismi dei giornalisti, visti dai non addetti ai lavori, finirebbero per sminuire l’autorevolezza delle notizie, mandando in corto circuito quel meccanismo per cui è notizia ciò che i giornali decidono sia notizia.
Peccato, perché di tanti ambienti di lavoro, le redazioni sono fra i più interessanti, per intensità, varietà, anedottica e tensioni. Sì, tensioni, non solo le consuete antipatie fra vicini di scrivania forzati, ma quotidiani braccio di ferro per decidere cosa trattare e come sull’edizione del giorno dopo. Il giornalista corretto stabilisce che cosa vale la pena di essere riportato ai lettori in base alla rilevanza e all’attualità dei fatti, senza pregiudizi, senza favoritismi. Una regola che la gran parte dei colleghi cerca di rispettare, solitamente investendoci fatica, poiché non facile da attuare. Le redazioni e i singoli redattori sono soggetti a pressioni di vario tipo, lusinghe, inganni, strade che chi detiene un potere o cerca di conquistarlo percorre per arrivare all’opinione pubblica, grimaldelli per superare i redattori “gatekeeper”. Ma sarebbe sbagliato credere che siano tali interventi a scrivere i giornali. Sarebbe sbagliato immaginarsi giornalisti proni alle offerte e alle minacce.
I giornali sono realmente un’opera collettiva. Anche se ogni testata e poi ogni singolo articolo riportano singole firme, dietro ciascun pezzo di giornale c’è un lavoro di gruppo, partecipato e litigato. Si discute con le fonti per avere più notizie, con i colleghi per determinarne il taglio e la rilevanza, con i direttori che devono riportare le scelte a linee coerenti. La giornata della redazione è come un torrente nei tratti di rapide, nel quale le notizie galleggiano e vengono trascinate, rimbalzando fra molti sassi, che le portano ad arenarsi o a sfociare a valle, sul giornale. Un flusso rapido e duro che se complica la vita di chi lavora nei giornali – qualsiasi ruolo ricopra – ha il positivo effetto di centrifugare le notizie, pulendole da eccessive partigianerie.
A Polis, anche nella primavera del 2010, quando venne tentato un colpo di mano da parte di un gruppo politico per soffocarne l’autonomia, questa attività di filtro automatico, di lotta interna per continuare a servire il lettore aldilà di ogni posizione di parte, non è mai venuta meno. Anzi, per certi versi si è accentuata, arrivando alla rottura di rapporti di lavoro, con le dimissioni di più di un giornalista. E l’effetto di sgrossamento delle faziosità non è quasi mai venuto meno.
La linea editoriale di Polis è sempre stata quella di controllo del potere pubblico: il classico “cane a guardia del potere” di ispirazione anglosassone, a lungo a Parma l’unica voce efficace in tal senso, come dimostra anche l’interesse particolare di chi cercò di soffocarla (Vignali definiva Polis “spina nel fianco”, raccontano le intercettazioni descritte ieri dal procuratore Laguardia). Linea mantenuta sempre, fin dalla fondazione, con destrezza funambolica fra mille e una pressione. Il tentativo del 2010 di imbavagliare Polis è stata solo una – seppur una delle più forti – di queste pressioni. Cui il giornale ha reagito come a tutte le altre precedenti e seguenti: cercando di dare ancora le notizie che altre testate non danno anche senza bisogno di essere comperate.
Il colpo di mano del 2010 fu favorito da una fase di particolare debolezza economica del giornale. Pur funzionando come tribuno a sentinella del potere, o probabilmente proprio a motivo di questa efficacia, il piccolo Polis ha sempre faticato a trovare sostenitori, che fossero finanziatori diretti o persone impegnate alla sua diffusione. Anche fra i gruppi che più si avvantaggiavano della sua critica a chi in quel momento deteneva il potere in città, la testata non ha mai incontrato aiuti concreti, forse perché sapevano che a rapporti di forza rovesciati, comunque il giornale avrebbe vigilato su chi comandava, indipendentemente dal colore.
L’operazione di ingerenza tentata nel 2010 attribuita dalla procura a Vignali, Costa e Villani, non andò comunque in porto, bloccata dalla caduta in disgrazia di Costa, nello stesso anno inquisito nell’ambito della vicenda Tep-Mauro (che Polis seguì passo passo) e costretto alle dimissioni da Stt. E seppure con una redazione in parte mutata, pian piano Polis ha ripreso il suo lavoro. Fra nuove pressioni e vecchie resistenze. Come in molti altri giornali. Fino a oggi. Oggi che il suo editore, funambolo solitario, è stato arrestato”. (Fabio Bonati)