SALLUSTI EVADE I DOMICILIARI: «SOLO UNA PROVOCAZIONE». GIOVEDÌ IL NUOVO PROCESSO. INTANTO AL QUIRINALE STUDIANO “LA GRAZIA”

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Alessandro Sallusti, condannato per diffamazione a 14 mesi di reclusione domiciliare e quindi “accompagnato” a casa dalle forze dell’ordine per scontare la sua pena, è stato arrestato con l’accusa di evasione. Il direttore del Giornale, dopo la notifica del provvedimento, aveva platealmente raggiunto la redazione per presiedere a una riunione con i capi-redattori. Il suo gesto? Solo «una provocazione per sottolineare un’ingiustizia. Dovete mandarmi in galera», ha dichiarato il giornalista lombardo agli uomini in divisa, giunti nuovamente sul posto per riaccompagnarlo ai domiciliari. Giovedì ci sarà il processo per evasione. Sallusti rischia fino a 3 anni di reclusione da aggiungere alla condanna precedente. Il Quirinale, però, sta studiando il caso per evitare il carcere all’ex direttore di Libero. Due le ipotesi: la “grazia” o la ripresa del ddl diffamazione. Intanto Libero, l’ex quotidiano di Sallusti, dà il via ad una raccolta firme anti-carcere.
Ma facciamo un passo indietro per chiarire la genesi della vicenda.
Il procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati ha chiesto i domiciliari per Sallusti, condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione a mezzo stampa. Niente prigione, dunque. Ma detenzione domestica. Tuttavia il direttore ha considerato, fin dal primo momento, tale misura un “favore”. Da qui il rifiuto dei domiciliari. «Sono stato condannato? Mandatemi in galera» ha protestato Sallusti. Il quale ha fatto sapere di aver comunicato ai suoi avvocati, Enzo Lo Giudice e Valentina Romella, di voler presentare un’istanza contro la sospensione della pena.
«Non voglio rientrare in un casta. Ci sono migliaia di detenuti, nelle mie stesse condizioni, che sono in carcere. Io non voglio essere un privilegiato. Sarebbe la morte professionale mia e del giornale che dirigo», ha affermato Sallusti.
In effetti la decisione di Bruti Liberati non è stata esente da critiche. Sia l’ufficio responsabile dell’esecuzione delle pene che la Camera penale di Milano hanno obiettato sul provvedimento firmato dal procuratore capo. Fatto sta che quest’ultimo, ignorando le critiche, ha passato le carte al magistrato di sorveglianza, Guido Brambilla, per chiedere la “trasformazione” della pena: dal carcere ai domiciliari. E il giudice ha convalidato la richiesta.
Dunque da venerdì è ufficiale: a Sallusti spettano 14 mesi di detenzione da scontare non dietro le sbarre di una cella, bensì a casa della compagna, nonché parlamentare del Pdl, Daniela Santanché. Il direttore può uscire, salvo speciali deroghe motivate, solo per due ore al giorno: dalle 10 alle 12. Ma dal domicilio potrà continuare a scrivere e a lavorare per il suo giornale.
Appena notificato il dispositivo Sallusti ha subito precisato di non volere godere di misure alternative. E ha accusato anche il pm Bruti Liberati: «Se non mi manda in galera, sarà complice di una evasione, ci sono gli estremi per una istigazione a delinquere».
E così è stato. Sallusti, prelevato dalle forze dell’ordine nella redazione de Il Giornale e accompagnato nel luogo in cui dovrà scontare i 14 mesi di pena, ha immediatamente violato il domicilio alle 12.45 del 1 dicembre per andare in redazione a lavorare.
E proprio li, a Via Negri, ha ricevuto la visita bis della Digos. I poliziotti hanno ri-arrestato l’ex direttore di Libero. Poi lo hanno portato in tribunale per l’udienza di convalida. E il 6 dicembre ci sarà un nuovo processo. Questa volta per evasione e “per direttissima”.
Ai 14 mesi di reclusione potrebbero aggiungersi da 1 a 3 anni di carcere per evasione. Ma la pena potrà scendere a 8 mesi se il giudice concederà le attenuanti.
Oltre alla nuova pena che grava su Sallusti, è stata l’irruzione in redazione ad aver provocato polemiche. Lo stesso direttore, forse prevedendo come sarebbero andate le cose, aveva detto: «Non violate Il Giornale. La sede di un quotidiano rappresenta la libertà di tutti. Andrò io stesso a San Vittore». Ma Sallusti sapeva bene che in carcere non ci sarebbe andato, suo malgrado. E per questo ha deciso di violare i domiciliari. «È stata una provocazione, un gesto simbolico. Volevo spiegare che i domiciliari sono un’ingiustizia. Non intendevo darmi alla latitanza. Ora rispetterò le prescrizioni. Ma i giornalisti dovrebbero sussultare per la violazione della redazione».
E in effetti così è stato. Molti addetti ai lavori hanno manifestato solidarietà al direttore. Ecco qualche esempio: «l’arresto è una pistola alla nuca per i giornalisti», ha affermato Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine; «il carcere non va bene per i giornalisti, neanche per Sallusti», ha dichiarato Giuseppe Giulietti di Art.21; «occorre una nuova legge e un codice deontologico», ha detto Mario Orfeo, neodirettore del Tg1.
Inoltre Libero, il quotidiano che ha “ospitato” la notizia da cui tutto ha avuto origine (si trattava di un pezzo in cui l’autore, Renato Farina alias Dryfus, criticava aspramente la decisione di un giudice tutelare, Giuseppe Cocilovo, che ha permesso l’aborto ad una minorenne) ha dato il via ad una raccolta firme per chiedere la grazia. Anche La Repubblica, quotidiano spesso “avverso” a Sallusti, si è schierato per una scarcerazione del direttore. «Sarebbe una grazia al giornalismo», ha scritto Francesco Merlo.
Ma c’è stato anche chi ha tuonato contro i giornalisti in quanto non avrebbero manifestato solidarietà nei confronti di un collega. È il caso di Filippo Facci, giornalista di Libero, e di Fiorello. Anche lo show-man siciliano, durante una trasmissione radio, ha detto la sua: «Ma un po’ di solidarietà al collega volete dargliela o no?».
Di sicuro non è mancato il sostegno legale. In Tribunale Sallusti è stato assistito da Ignazio La Russa, parlamentare del Pdl, nonché avvocato. «È stato solo un gesto dimostrativo. Tecnicamente non è stata nemmeno un’evasione», ha dichiarato l’ex ministro della Difesa.
Ad ogni modo, ora la faccenda si complica. La condanna al direttore del Giornale è destinata a diventare più corposa. Se il magistrato concederà le attenuanti i mesi di reclusione domiciliare diventeranno 22.
Si tratta di una faccenda clamorosa. E il Quirinale si è rimesso al lavoro. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sempre seguito la vicenda con attenzione. Già due mesi fa, quando Sallusti ebbe la conferma della condanna dalla Cassazione, circolava la voce di una possibile grazia. Ma attenzione, la possibilità era avanzata dagli addetti ai lavori, non da Sallusti il quale ha più volte dichiarato non volere la grazia da “uno” come Napolitano.
Ma il Capo dello Stato, ieri ha iniziato a studiare il caso e ha convocato il ministro della Giustizia, Paola Severino. C’è da precisare che la grazia può essere chiesta (visto che Sallusti non intende domandarla) anche da un parente, da un avvocato. Oppure può avvenire “motu proprio”, ovvero d’ufficio. In altre parole nascerebbe dalla spontanea volontà del Presidente della Repubblica o dalla Severino.
Per ora nulla è certo. «È una faccenda complessa. Stiamo valutando tutte le ipotesi. Intanto aspettiamo che la polemica si plachi. Non possiamo sconfessare la magistratura a pochi giorni dall’arresto», ha dichiarato il portavoce del Quirinale, Pasquale Cascella.
C’è da precisare che la Severino ha sempre espresso con chiarezza la sua posizione. Il Guardasigilli, anche senza intervenire nell’iter parlamentare, ha sempre invocato una riforma mini: una multa al posto della galera e una rettifica adeguata. L’ultimo spunto del ministro è stato la riproposizione del suggerimento di Caterina Malavenda, avvocato esperto in diritto dell’informazione: «Eliminiamo il carcere e obblighiamo a pubblicare una rettifica adeguata, documentata, senza commento e con lo stesso rilievo e posizione dell’articolo diffamatorio. In tal modo si raggiungerebbe un equilibrio tra il diritto all’informazione e la riparazione dell’onore leso».
Dunque le ipotesi sono due: grazia e riformulazione della legge che consiste nella ripresa dei lavori per il ddl diffamazione.
Purtroppo la seconda possibilità è senza dubbio più remota. Non sono bastati, infatti, due mesi di lavori parlamentari per svecchiare una legge del 1948 (la difficoltà è stata anche sottolineata dalla Severino: «Non era impossibile cambiare la norma»). Quindi in pochi giorni e con un’agenda piena (le Camere saranno sciolte tra un mese e bisogna ancora fare la legge elettorale) ci vorrebbe un mezzo miracolo per approvare il nuovo testo. Anche se si tratterebbe di una mini legge con soli due articoli.
Quindi l’ipotesi “grazia” e per di più “motu proprio” sembra l’unica soluzione praticabile anche se, a conti fatti, sarà il simbolo dell’inefficienza del Parlamento.

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