AAA il Manifesto vendesi”. E’ il titolo dell’annuncio che compare in prima pagina sul “quotidiano comunista”, da tempo in profonda crisi. Una provocazione? Niente affatto: dopo 10 mesi di amministrazione controllata il giornale è effettivamente in vendita.
“Entro il 17 dicembre – si legge nel corsivo – chiunque fosse interessato all’acquisto può presentare una proposta vincolante presso uno studio notarile”. Alla fine il Manifesto andrà al “miglior offerente”, sempre che ve ne sia qualcuno.
Un’operazione “che nessun giornale ha mai tentato prima”, si legge ancora sul quotidiano: “Una storia gloriosa è alle battute finali”. Due pagine intere del Manifesto riassumevano il 27 novemvre, il dibattito, a tratti crudele, sulla crisi del giornale e sulla prospettiva che si apre, con la coraggiosa approvazione dell’assemblea dei redattori, dell’ipotesi di costituire una nuova cooperativa che, dalle ceneri della vecchia lasciata al suo destino a conclusione del periodo di amministrazione controllata, permetta di mantenere in vita il quotidiano. Considerate le premesse, si dovrebbe essere soddisfatti e incoraggiare gli sforzi di chi sta cercando di tirare fuori, anche con pesanti sacrifici personali e professionali (non tutti i redattori saranno riassunti nella nuova società), una testata, al cui destino dovremmo essere interessati tutti, dalla palude in cui si trova, più per vizi dell’ecosistema dell’informazione del nostro paese che per demeriti di chi la guida e amministra. Ora siamo all’epilogo. Ma la parola fine non è mai scontata.