DDL DIFFAMAZIONE, L’EUROPA BOCCIA LA IL TESTO. IL PDL SPERA DI SALVARE SALLUSTI. MA POTREBBE BASTARE LA LEGGE “SVUOTA CARCERI”

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Carcere per i giornalisti, arriva la bocciatura del Consiglio d’Europa: «È un grave passo indietro». Il Pdl prova l’ultimo affondo per salvare i “condannati” per diffamazione a pene detentive. Il Pd resta fermo sulla sospensione della legge. Lega e Api incalzano: «Abbiamo ridotto la pena detentiva da sei ad un anno». Ma a salvare l’ex direttore di “Libero” Sallusti dalla galera potrebbe bastare, suo malgrado, una legge del 2010, poi modificata nel 2012. Essa prevede la sostituzione delle condanne inferiori a 18 mesi con misure alternative.
Centotrentuno senatori di Lega, Api, ma anche di Pd e Pdl hanno reintrodotto, con il voto segreto, la pena detentiva fino ad un anno, come alternativa alle sanzioni pecuniarie, per i giornalisti condannati per il reato di diffamazione a mezzo stampa. C’è da dire che il ddl è nato, paradossalmente, proprio per salvare Alessandro Sallusti dalla pena a 14 mesi di reclusione per aver pubblicato, nel 2007 su “Libero”, un articolo falso e diffamatorio sul giudice tutelare Giuseppe Cocilovo.
Il Consiglio d’Europa non nasconde una certa preoccupazione. Il commissario Ue per i diritti umani, Nils Muiznieks, ha dichiarato, infatti, che mantenere il carcere per i giornalisti sarebbe «un grave passo indietro per l’Italia che rimarrebbe fuori dagli standard europei sulla diffamazione». «I giornalisti – ha affermato Muiznieks – non devono andare in carcere. Per i reati di stampa servono misure proporzionate presenti nel codice civile».
Anche il ministro della Giustizia, Paola Severino, si è schierato contro l’ultima votazione. «Spero che il Parlamento reagisca al più presto per eliminare la galera e per trovare un giusto bilanciamento tra diritto all’informazione e rispetto dell’onore dei cittadini», ha affermato la Guardasigilli.
Ma le possibilità di modificare, ancora una volta il testo, non sono tante. Il Pd sembra aver perso ogni speranza. «Il ddl sarà accantonato. Non ci sono più le condizioni politiche per affrontare una discussione così delicata. Martedì chiederemo la sospensione», ha annunciato la capogruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro. «Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. È meglio fermarsi», ha aggiunto il democratico Vincenzo Vita.
Più possibilista si mostra l’Udc. Il partito di Pierferdinando Casini vuole modificare il testo. «Il ddl è una barbarie. O cambia, o si affossa definitivamente», ha commentato il centrista Roberto Rao.
Il Pdl, dal canto suo, non vuole arrendersi. Il capogruppo del Popolo delle Libertà al Senato, Maurizio Gasparri e il suo vice Gaetano Quagliariello hanno già annunciato un emendamento “salva direttori”. L’obiettivo è quello di evitare la prigione a Sallusti. «Io vorrei eliminare il carcere per tutti. Infatti ho votato contro l’emendamento della Lega. Ma l’Aula ha deciso. Ora dobbiamo cercare di salvare almeno Sallusti, eliminando il carcere per i direttori nel caso in cui non siano loro gli autori del testo diffamatorio, o nel caso in cui gli stessi siano ignoti», ha proposto Gasparri. Si tratterebbe di una norma fatta su misura per l’attuale direttore del Giornale. Inoltre tale emendamento, se approvato, cancellerebbe una buona fetta della responsabilità oggettiva e della condanna per omesso controllo. Un fatto, questo, che ha già scatenato le prime obiezioni. «Significa salvare solo i direttori. Inoltre basterebbe non firmare gli articoli per essere liberi di diffamare», ha criticato Luigi Li Gotti dell’Idv.
Insomma: non resta che attendere la decisione dell’Aula di Palazzo Madama. Il provvedimento tornerà ad essere discusso martedì prossimo. Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia, nonché relatore del ddl, sta riscrivendo il testo (anche se ieri ha dichiarato che non ci avrebbe più lavorato, in quanto deluso dall’esito della votazione dell’Aula). «Sto presentando due proposte di modifica da presentare all’emendamento della Lega sul carcere che, comunque è già stato votato», ha affermato Berselli.
Nel frattempo, però, il blocco Lega-Api non vuole saperne di rinunciare alle proprie posizioni. Il Carroccio insiste che il suo emendamento è stata una provocazione per sottolineare che nel ddl non c’era equilibrio. «Si consentiva ai diffamati di rimanere impuniti. Inoltre la pena detentiva è sola una possibilità in più che si dà al giudice», ha precisato l’ex Guardasigilli Roberto Castelli. «Abbiamo abbassato la pena da sei anno ad un anno. Come per chi dà una pedata ad un cane», ha ironizzato il leghista Sandro Mazzatorta. Tuttavia la Lega non esclude modifiche al testo, a patto che si inseriscano significative sanzioni. Lo ha assicurato anche il capogruppo al Senato del Carroccio, Federico Bricolo.
Sulla stessa lunghezza d’onda Francesco Rutelli. Per il leader dell’Api l’ultima versione del ddl diffamazione è migliorativa. «Ricordo che la legge attuale prevede per il reato di diffamazione il carcere da uno a sei anni e, in aggiunta una multa. Ora il nuovo testo permette al giudice di scegliere tra la sanzione pecuniarie e il carcere fino ad un anno», ha affermato Rutelli. Inoltre l’ex sindaco di Roma ha precisato che «in tutta Europa è previsto il carcere per la diffamazione grave», smentendo il commissario Ue per i diritti umani, Muizniek.
Contro il leader dell’Api si è schierata a spada tratta la Fnsi. «Rutelli è allergico alla libertà di stampa. Come Grillo», ha tuonato Franco Siddi, segretario del sindacato dei giornalisti.
Ma ora che si fa? Se si manda avanti il testo si rischia di allontanarlo sempre più dagli obiettivi iniziali. Sono pronti altri voti segreti su argomenti controversi, come quello per l’introduzione dell’interdizione alla professione. Quindi è possibile che il ddl venga abbandonato definitivamente, così come chiede il Pd. Anche Caterina Malavenda, esperta di diritto dell’informazione, sulle pagine del Corriere della Sera, ha scritto che «è meglio aspettare tempi e parlamentari migliori. La posta in gioco è troppo alta per essere affidata a politici in disarmo».
E quindi, alla fine delle storia, Sallusti andrà o no in cella? E qui viene il “bello”. Molto probabilmente non ci andrà. E sarebbe stato così indipendentemente dal ddl diffamazione. A parte l’ipotesi del decreto minimale “salva Sallusti” che potrebbe varare il governo, c’è una norma di circa due anni fa che potrebbe salvare capra e cavoli. Si tratta della legge 199/2010 del 26 novembre, soprannominata “svuota carceri”. Porta la firma dell’ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Essa prevede che le pene detentive inferiori ai 12 mesi possano essere sostituite dai domiciliari. Poi il 14 febbraio del 2012, l’attuale Guardasigilli Severino ha spostato il limite per la misure alternative alle condanne al di sotto dei 18 mesi. In questo intervallo rientra la pena di Sallusti, che consta, appunto, in 14 mesi di galera.
Ma c’è un problema. Il direttore del Giornale non ha intenzione di chiedere le misure alternative. «Non ho bisogno di essere rieducato dai servizi sociali, né chiederò una commutazione della pena. Se devo andare in carcere ci andrò», ha precisato più volte l’ex direttore di Libero. L’ultima parola, tuttavia, spetta alla magistratura. Sì perché, almeno in teoria, i giudici potrebbero anche decidere l’assegnazione dei domiciliari o di un’altra misura alternativa al condannato. E questo scavalcando il parere espresso dal giornalista. Intanto il tempo stringe. Già la settimana prossima per Sallusti potrebbero aprirsi le porte di San Vittore. A meno che la Procura non imponga un altro percorso.

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