LA DICHIARAZIONE È INFEDELE ANCHE SE NON SI È PERCEPITO ALCUN PROFITTO

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Presentare una dichiarazione IVA non veritiera è reato. Anche se non si è percepito alcun profitto.
Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 13926 del 1 dicembre 2011.
La vicenda prende spunto dal caso di un libero professionista che, pur avendo emesso una serie di fatture per prestazioni professionali nei confronti di una società, aveva omesso di dichiarare i relativi importi nella dichiarazione ai fini dell’IVA.
Condannato in primo e secondo grado per il reato di dichiarazione infedele (di cui all’art. 4 del D.lgs. 74/2000), il professionista ha presentato ricorso in Cassazione, lamentandosi del fatto che i giudici, nel valutare la sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato, non avrebbero tenuto conto della circostanza che l’imputato aveva sì emesso fatture ma non aveva, tuttavia, incassato i relativi compensi dalla società.
La norma che prevede il reato di dichiarazione infedele dispone che è punito con la reclusione da uno a tre anni chi, fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente:
a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila;
b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro due milioni.
La condotta punita è, dunque, quella della presentazione di una dichiarazione dei redditi o IVA non veritiera e corretta.
Non è richiesta la fraudolenza, che caratterizza, invece, i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ovvero mediante altri artifici, previsti dagli artt. 2 e 3 del D.lgs. 74/2000.
Perché si configuri il reato di dichiarazione infedele, basta la mera indicazione, in una delle dichiarazioni di cui sopra, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi fittizi.
Gli elementi attivi rappresentano le somme che il soggetto ha incassato durante il periodo di imposta. Gli elementi passivi sono le spese sostenute. Entrambi concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Sia chi indica elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, sia chi indica elementi passivi fittizi può incorrere nella sanzione prevista dall’art. 4 del D.lgs. 74/2000.
Quanto ai soggetti che possono commettere questo tipo di reato, essi sono, in primo luogo, i contribuenti obbligati a presentare una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
Attenzione, però. Non si tratta solo dei contribuenti tenuti alle scritture contabili obbligatorie, ma di tutti i titolari delle categorie di redditi di cui all’art. 6 del D.P.R. 917/1986, ovvero redditi fondiari, di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro autonomo, di impresa e altri.
Perché sia integrato il reato di dichiarazione infedele è, tuttavia, necessario che siano superate certe soglie, recentemente modificate dal D.l. 138/2011.
L’art. 4 del D.lgs. 74/2000, difatti, prevede che, affinché la condotta sia punibile, l’imposta evasa deve essere superiore a 50.000 euro e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiore ai 2 milioni di euro.
Tali soglie sono state sensibilmente abbassate, se non dimezzate, rispetto al passato. Prima della riforma del 2011, era infatti previsto che l’imposta evasa dovesse essere superiore a 103.291,38 euro.
L’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, doveva, invece, essere superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, superiore ai 2.065.828,60 euro.
Riducendo gli importi previsti, si è ampliato l’ambito di applicazione del reato, in un’ottica di lotta all’evasione fiscale.
Oltre al superamento delle soglie indicate, è necessario, sotto il profilo dell’elemento psicologico, che la condotta sia posta in essere al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. Qualora non si accerti invece questo dolo cosiddetto di “evasione”, non si potrà essere puniti per il reato di dichiarazione infedele.
Tutto ciò premesso, il problema che si è posta la Corte di Cassazione, nell’esame del caso del professionista, è se, per la configurazione del reato, sia necessario o meno che il contribuente abbia conseguito un profitto. Il professionista, infatti, ha sostenuto di non poter essere punito per dichiarazione infedele, in quanto, pur avendo emesso fatture per una serie di prestazioni professionali, non avrebbe percepito i compensi relativi.
La Cassazione ha rigettato il ricorso. Ed ha osservato che le prestazioni di servizi sono soggette all’IVA soltanto se rese verso corrispettivo e che le prestazioni si considerano effettuate all’atto del relativo pagamento.
Prima di tale momento non sussiste alcun obbligo, ma solo la facoltà, di emettere fattura o di pagare l’Imposta. In assenza di fattura, quindi, la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi non può prescindere dall’accertamento relativo al pagamento del corrispettivo.
Se tutto ciò è vero, è vero anche che, qualora la fattura sia emessa, a carico del contribuente sorge un vero e proprio obbligo di dichiarazione a fini IVA. E questo indipendentemente dall’aver percepito o meno il corrispettivo della prestazione.
Basta che il contribuente ometta di inserire nella dichiarazione IVA gli importi fatturati.
Oltre chiaramente al superamento delle soglie di punibilità previste dall’art. 4 del D.lgs. 74/2000.
Bisogna, dunque, stare attenti a dichiarare tutto.
Anche le fatture per le quali non si è ancora percepito il compenso.
In caso di presentazione di una dichiarazione IVA non veritiera, la scure della giustizia può rivelarsi pesante.

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